indice n.61

Nessun futuro per lo Jemen?
Intervista al portavoce ufficiale del governo libico
dalla lotta dentro e contro i c.i.e.
Lettera dal carcere di San Vittore (milano)
Lettere dal carcere di SanRemo (im)
lettera dal carcere di opera (milano)
Lettere dal carcere di Carinola (ce)
Un saluto dal carcere Terni
Lettera dal carcere di Nuoro
Lettera dal carcere di Cagliari
COMUNICATO di UN PRIGIONIERO "SOCIALE" SARDO
Lettera dal carcere di Regensdorf (svizzera)
Solidarietà alla compagna Andi
lettere dal carcere di prato
Da una lettera dal carcere di Velletri (roma)
Lettera aperta alla città di Como sul carcere Bassone
Note su Amnistia e indulto
California: Terza settimana di sciopero della fame nelle carceri
Riflessioni sulla mobilitazione del 15 ottobre
Perquisizioni a Padova
Comunicati dai processi in Euskal Herria
paese basco: Sgomberato il C. S. Kukutza
milano: LA CASA E' DI CHI LA ABITA
Cortemaggiore (pc): gli operai vincono una battaglia
ESSELUNGA biandrate (no): PER I LAVORATORI SALUTE CORTA!
SCIOPERO AL CENTRO LOGISTICO DELLA ESSELUNGA DI PIOLTELLO (MI)
I droni di Marchionne


Nessun futuro per lo Jemen?
Intervista con Riad Al Qadi, esponente dell'opposizione
Facciamo una breve premessa generale di carattere storico all’intervista.
Il territorio dello Yemen è situato a sud della penisola arabica; è la porta che, attraverso il Mar Rosso e il Canale di Suez, collega il Mediterraneo all'Oceano Indiano. La sua importanza strategico-militare è evidentissima.
Nel 1967 un'insurrezione popolare riuscì a mettere fine all'occupazione coloniale inglese iniziata nel lontano 1839. Essa fu resa possibile dall'unione fra le forze di liberazione storiche interne con gli stati socialisti, in particolare il loro sistema di aiuto reciproco o anche "internazionalismo" che si esprimeva sul piano militare con il "Patto di Varsavia" (Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza che ha origine nel momento stesso in cui viene avviata la Nato, 1949, e prende forma soprattutto quando la Germania Ovest entra nella Nato, maggio 1955; viene sciolto nel 1991) e su quello economico con il "Comecon" (Consiglio per la Mutua Assistenza Economica 1949-1991).
Gli stati socialisti avevano costruito in quel tempo una base robusta nei paesi arabi, soprattutto in Egitto, Siria dove sostenevano la formazione delle "repubbliche arabe socialiste". Fu questo sostegno fermo, permanente, che rese possibile nella parte sud, da qui il nome di "Repubblica democratica dello Yemen del sud" con capitale Aden, la costruzione di uno stato socialista.
Il crollo del sistema degli stati socialisti nel 1990 si riflesse anche in questa parte del mondo, ma, prendendo a paragone la Juogoslavia, in modo alquanto pacifico. I due Yemen in quell'anno si riunirono in un unico Stato, l'attuale Yemen.
I partiti del nord, le tribù conservatrici di quel territorio, cercarono di imporre la politica apertamente filo-statunitense dell'Arabia Saudita, che in quel momento, grosso modo come oggi, consisteva nel sostegno aperto della guerra per la sottomissione, di Iraq, Somalia, Afghanistan... Da qui la nascita nel sud di un movimento per il distacco dal neonato Yemen. Queste forze, armi in mano, nel 1994 proclamarono la secessione della regione meridionale dello Yemen che assunse il nome di Repubblica Democratica dello Yemen. Non riconosciuto sul piano internazionale, questo tentativo di secessione venne stroncato dalle forze governative appoggiate dall'Arabia Saudita e dagli Usa, in due settimane di combattimenti.
Le manifestazioni di piazza esplose all'inizio dell'estate 2011, con relativa fuga del presidente della repubblica Saleh (Ali Abdallah Saleh, presidente dello Yemen del Nord sin dal 1978, presidente dello Yemen dalla sua riunificazione del 1990), sono, come viene chiarito nell'intervista che segue, organizzate da Arabia Saudita e Usa. Sono insomma il tentativo di pilotare dall'alto la rivolta popolare affinché nelloYemen, come invece è accaduto in Tunisia e Egitto, non si formi un movimento di resistenza apertamente sganciato dalle istituzioni, tutte.

Utz Anhalt: Nella città di Sanaa (capitale dello Yemen riunificato dopo il 1990) i combattenti del clan Al Ahmar danno battaglia alla Guradia nazionale del presidente Saleh. Che significato ha questo per le frazioni? Che cosa vogliono?
Riad Al Qadi: Al Ahmar è l'ex capo del Parlamento. In questo momento fra la famiglia Saleh e la famiglia Al Ahmar è in corso una vendetta di sangue. La casa reale saudita lascia giocare a Saleh il ruolo di marionetta. Entrambe le famiglie vengono finanziate da 50 anni dall'Arabia Saudita. Entrambe provengono dalla tribù Haschit i cui uomini sono mercenari del regime saudita. L'ambiente familiare di Saleh viene definito dagli uomini di Al Ahmar come "trouble-maker" (sobillatore). Al Ahmar giustifica il suo tentativo di colpo di stato, sostenendo che Saleh sarebbe un assassino. Tutti e due hanno ragione. Al Ahmar tuttavia ha collaborato per 30 anni con questo assassino e ha commesso assassinii.

Ali Abdullah Saleh è stato colpito gravemente nel corso di un attacco alla sua residenza a Sanaa. Che cosa è accaduto esattamente?
Su questo attacco, fino ad ora, non c'è stata alcuna dichiarazione del governo. Le voci dicono che Saleh stesso lo avrebbe organizzato, compreso il suo stesso ferimento.
Saleh afferma che due missili avrebbero colpito la sua tenuta dall'esterno; ci sono foto invece che mostrano delle finestre andate a pezzi ma colpite dall'esterno. Può essere stato Al Ahmar, ma anche qualcun altro. Il portavoce di Saleh dice che l'attentato è stato compiuto dal governo degli Usa. In ogni caso Saleh cerca di nascondere la verità ed è in conflitto con i suoi amici americani.

Perché l'Arabia Saudita finanzia Saleh e Al Ahmar?
I sauditi finanziano Al Ahmar e Saleh dagli anni Cinquanta del secolo scorso per frantumare nello Yemen le organizzazioni democratiche e di sinistra. Adesso Saleh ha ricevuto un ultimatum dai sauditi e dal Consiglio di Cooperazione del Golfo affinché rinunci alla presidenza. Lui ha respinto l'ultimatum. Dopo l'attacco al palazzo presidenziale è stato ricoverato, gravemente ferito, in un ospedale di Riad (capitale dell'Arabia Saudita). Di fatto si trova agli arresti militari sotto l'Arabia Saudita.

Perchè? Lui ha lavorato per l'Arabia Saudita.
E' vero, ma lui è insostenibile. I sauditi hanno paura di un avvio democratico nello Jemen, così come avvenuto in Egitto e Tunisia, e vedono, appunto, che il despota non è più sostenibile. Gli offrono la possibilità di un asilo lussuoso. Lui può tenere per sé i suoi miliardi, può escludere di comparire davanti un tribunale, può contare sull'amnistia, ma deve rinunciare a voler governare. I sauditi in questo momento ricattano gli insorti nello Yemen: o lasciano salire al potere Al Ahmar o loro rimettono in sella Saleh.

Attualmente chi governa il paese?
Il vicepresidente Abdurabo Mansur, un vecchio criminale del governo sudyemenita responsabile dei massacri di massa compiuti contro i socialisti nel 1986 nel sud del paese. Il potere reale ad ogni modo si trova nelle mani del figlio e del cugino di Saleh. Negli anni Settanta Mansur era soltanto un nome.

A cosa aspira Al Ahmar? Che a che fare con il movimento democratico che ha manifestato nel Campus dell'università di Sanaa, la piazza Tahrir dello Jemen?
Lui, tanto quanto Saleh, è nemico del movimento di democratizzazione, entrambi rappresentano la controrivoluzione. I sauditi in questo momento cercano di portarlo al potere affinché resti il vecchio potere e non si affermino i democratici. Le squadre armate di Al Ahmar eseguono volentieri il lavoro sporco. In ogni caso, Al Ahmar qui ha lavorato assieme ad Al Qaida. Assieme conducono scontri a fuoco contro la Guardia Nazionale, ma anche tirano bastonate sui democratici, saccheggiano le abitazioni, si impongono nelle strade con la violenza delle armi, uccidono le persone critiche. Le squadre di Al Ahmar sono formate da uomini della montagna senza alcuna cultura, i quali vedono nella vita moderna della città un lusso ad essi sconosciuto; Al Ahmar li lascia rubare. Per la casa reale saudita quella non è gente sconosciuta. A loro è affidato il compito di distruggere il movimento democratico nello Yemen, per dimostrare alle persone in Arabia Saudita che "anche il solo tentativo di rivolta non è possibile". Anche là, infatti, è presente il fermento della rivolta. In Arabia Saudita le donne hanno il coraggio di manifestare sulle strade, di guidare le auto.

Quali chances ha il movimento democratico sorto nel Campus di Sanaa? Nello Yemen esiste la possibilità di un rivolgimento pacifico come quello di piazza Tahrir in Egitto?
Per il movimento liberale quello attuale è un periodo cupo. In piazza Tahrir il rivolgimento si è affermato quando l'esercito è passato dalla parte dei dimostranti. Questo nello Yemen non accadrà. La Guardia Nazionale sta dalla parte di Saleh, i mercenari della montagna seguono Al Ahmar, entrambi sono dislocati a Sanaa proprio per colpire l'emersione democratica. Ciò nonostante gli studenti del Campus hanno festeggiato quando Saleh è fuggito. Il popolo non vuole la guerra civile, ma, al contrario, uno Stato civile. Le richieste di democrazia, di Stato di diritto sono uguali a quelle avanzate in Egitto. L'Egitto però oggi è, nel suo intimo, una società moderna. Nello Yemen il movimento è formato dai giovani istruiti delle grandi città. Per la gente armata del nord Yemen la democrazia non ha alcun senso.

Gli uomini delle truppe di Saleh e delle squadre armate di Al Ahmar sono originari tutti dello Yemen del nord. Che cosa vuole la gente di Aden, dello Yemen del sud? Il paese qualche decennio fa era diviso; oggi il separatismo sembra diventare più forte. Ci si trova di fronte ad una nuova separazione?
Nel sud cresce costantemente la volontà di una nuova separazione. A Aden, la capitale del sud, il movimento ha caratteri democratici. Con Saleh e Al Ahmar non è possibile alcun Stato civile. Nella separazione vedono una grossa possibilità, meglio una separazione e uno Stato di diritto, quantomeno nello Yemen del sud, che uno Yemen unito con la dittatura e la guerra.

Quale ruolo giocano gli americani? Nell'ultimo anno dei piloti americani, a sostegno della casa regnante in Arabia Saudita hanno pur sempre bombardato i ribelli sciiti Huthi abitanti nello Yemen del nord. Sostengono il movimento democratico? O lo ostacolano?
Gli americani giocano quasi lo stesso ruolo dell'Arabia saudita. Lasceranno cadere Saleh con le garanzie a una vita lussuosa e libera e sostengono Al Ahmar. Il recente decennio ha evidentemente lavorato per loro. L' "Organizing Commitee Popular Youth Revolution" del Campus di Sanaa, ovvero il portavoce degli studenti democratici, esorta il governo USA a cambiare subito questa politica, a porsi dalla parte della democrazia. Gli studenti dicono chiaramente di volere un sistema completamente diverso, cioè uno Stato di diritto, e che non accetteranno una nuova dittatura, questa volta di Al Ahmar.

In Tunisia e Egitto un movimento democratico ha abbattuto i tiranni; in Libia ha scatenato una guerra civile, in cui la Nato è intervenuta e interviene in modo unilaterale ed inoltre gli avversari di Gheddafi non sono tutti cavalieri dei diritti umani, anzi, fra loro vi sono torturatori del regime abbattuto. Nello Yemen il tiranno è fuggito dal paese, dalla capitale Sanaa arrivano immagini, notizie come giungessero da una guerra civile. Che direzione ha preso la situazione nello Yemen, quella dell'Egitto o quella della Libia?
Purtroppo sembra assumere i caratteri di quanto avviene in Libia. Molto dipende dalla politica degli americani. Se il governo Usa e il Consiglio di Cooperazione del Golfo cercano di imporre a Al Ahmar, allora esplode la guerra civile, che lui non può perdere poiché gli uomini non istruiti della montagna, che combattono per Al Ahmar, sono armati, gli studenti invece no - non vogliono armarsi. Essi manifestano in maniera pacifica e in massa, ma senza violenza. Se gli americani non modificano la loro politica e se dunque portano al potere Al Ahmar, spengono la luce nello Yemen. Allora si, non c'è nessun futuro per il nostro paese.

Utz Anhalt (sozialistische positionen), luglio 2011
da www.sopos.org/aufsaetze/4e23f346de01e/1.phtml


Intervista al portavoce ufficiale del governo libico
L’intervista al portavoce del governo libico che proponiamo in italiano e tradotta dalla versione inglese curata da Alexandra Valiente redattrice di Libya 360°, giunge dopo le voci, rivelatesi infondate, di una sua fuga o cattura da parte dei ribelli supportati dalla Nato.

Giornalista: E’ in linea con noi il Dr. Ibrahim Moussa, portavoce ufficiale del governo libico. Dottore, vorrei iniziare ringraziando Dio della vostra incolumità. Le menzogne e inganni dei media affermavano che lei aveva tentato la fuga indossando abiti femminili e un neqab (copricapo femminile che cela il viso). Ritiene che sia un tentativo di diffamare e infangare l'immagine della resistenza e dei combattenti jihadisti come lei?
Dr. Ibrahim Moussa: La saluto caro fratello e saluto tutti gli spettatori di questo canale coraggioso. Abbiamo dato le nostre vite e le nostre anime per il bene di questo Paese e partecipiamo a una causa onorevole e dedita a un progetto di vera civiltà e non mi sorprende che queste voci e bugie siano state scorrettamente sostenute dai capi del Consiglio della vergogna e del tradimento in Libia, né stupisce la diffusione di tali dichiarazioni da parte dei media che cooperano in modo organizzato con la NATO e i ribelli-NATO.
Cercano di sporcare l’immagine della Gloriosa Gioventù della Libia che ha intrapreso questa guerra santa contro le più grandi potenze del mondo, ma essa è di gran lunga più grande e pura. Non abbandoneremo il campo di battaglia. Combatteremo fino alla morte o fino al trionfo, a Dio piacendo. Queste voci sono falsità. Ero vicino alla linea del fronte a Sirte e con me stava una squadra di circa 23 grandi e leali combattenti. Otto di loro arrivavano da Sirte, 2 da Harwara, 2 da Tarhouna, 3 da Werfella e 1 da Wershifana e 1 da Seesan e 6 dalla coraggiosa Zliten.
Siamo stati investiti da un attacco a sorpresa da parte di una banda di miliziani della Nato e costretti a riparare in una zona isolata. Il gruppo di giovani che era con me è rimasto a combattere le milizie Nato, ben attrezzate e armate dal loro malvagio alleato atlantico, mentre noi usavamo solo armi leggere, ecc. Il combattimento è andato avanti per più di un giorno e mezzo. Hanno annunciato la mia cattura e l'arresto, ma non era vero. In realtà non sono mai stati vicini a prendermi. I giovani hanno continuato a combattere nelle valli dei deserti. Alcuni di loro sono morti come martiri in questa battaglia coraggiosa e pura: due, uno da Werfella e uno da Seean, mentre con i rimanenti abbiamo resistito e ci siamo messi al sicuro. Che Dio possa avere misericordia dei martiri che accoglierà benevolmente, al contrario della Nato.
Quanto detto sopra ci porta ad un'altra visione della linea del fronte di guerra, che testimonia la determinazione, abnegazione e l'alto morale dei combattenti. Ma i media bugiardi cercano di diffondere quante più voci infondate e bugie possibili per abbattere il morale del movimento di resistenza.
Vorrei cogliere l'occasione per dire che ho personalmente assistito con i miei occhi a come hanno ucciso, Zwaitneeya, Wershifna, Seesan, Werfella, Tarhouna, Hrawa e le tribù della Sirte che erano mano nella mano, fianco a fianco, e come gli aerei volavano sopra di noi e come bombardavano senza sosta e come la milizia a terra cercava di attaccare. Giuro caro fratello, gli occhi di queste persone avevano una scintilla di rabbia e di lotta e tutti parlavano dei martiri e dei compagni coraggiosi, e parlavano delle loro famiglie con amore e compassione. E' stato uno spettacolo incredibile. Queste persone non sono state addestrate. Non sono state addestrate da Al Qaeda, Nato, Francia, Qatar. Questi sono giovani normali, gente comune come le persone che guardano Al-Rai in questo momento, che poi cambieranno canale per guardare un programma televisivo, un film o dei video musicali. Giovani normali sorprendentemente trasformati in leoni ed eroi perché sentivano di avere ora uno scopo più alto, di dover essere combattenti ed eroi. Ho chiesto ad alcuni di loro chi erano, da quali famiglie venivano, cosa facevano nella vita, il loro lavoro. Alcuni erano studenti, insegnanti, imprenditori, tecnici, ecc. Tutte queste persone non avevano altri obiettivi o aspirazioni tranne che di combattere questi terroristi e abbattere e rovesciare questa conquista coloniale del loro paese.
Giuro caro fratello mio, anche se molte di queste persone non sono istruite politicamente lo sono però moralmente e capiscono tutto quello che sta succedendo. Essi non possono essere ingannati da paroloni come "democrazia", "libertà" e "cambiamento", menzogne ingannevoli per mascherare i propositi coloniali sulla Libia. Comprendono collettivamente in modo trasparente e onesto che è loro dovere combattere. Vorrei mandare ancora una volta i miei ossequi ai due martiri che ho menzionato prima e un saluto ai miei fratelli che stanno ancora combattendo sui numerosi fronti di battaglia.

Nemmeno per un secondo abbiamo dubitato che Ibrahim Moussa "il combattente" sarebbe potuto fuggire dalla battaglia nel momento del bisogno. In ogni caso dottore, i media diffondono voci secondo cui i civili stanno fuggendo da Sirte. Pensa che si cerchi di dare l'impressione che la città sia stata evacuata e affermare che tutti sono fuggiti per poter poi massacrare e ripulire l'intera città e la sua popolazione?
Certo fratello mio, hanno già iniziato. Gli spettatori arabi di tutto il mondo, Arabia Saudita, Emirati, Egitto, Siria, Iraq, Algeria, Marocco, Sudan e tutti i paesi arabi, devono sapere che gli abitanti di Sirte sono stati letteralmente massacrati e spazzati via il mese scorso mentre erano nelle loro case... e lo voglio ripetere ancora, "nelle loro case", il numero di morti ha raggiunto le migliaia. Questa "non è un'esagerazione", migliaia di persone! Ciò è evidente nella misura in cui l'odore della morte, di uccisioni e distruzione è diventato così opprimente che le organizzazioni internazionali hanno avuto modo di sperimentarlo anche dai lontani paesi del nemico. L'odore, come si dice in inglese, è troppo per ignorarlo.
Hanno iniziato ancora una volta il gioco dei media, dicendo che gli abitanti di Sirte stanno fuggendo per coprire il fatto che sono loro e non noi a uccidere e bombardare i civili. Si tratta di una strategia chiara portata avanti da Al Jazeera, Al Arabiya e altri che sono ormai i più qualificati e consumati nella menzogna e l'inganno. Posso dire di essere un esperto a livello mondiale su questi canali e sulle loro capacità, per aver trattato con loro ampiamente e avendoli osservati da vicino negli ultimi 9 mesi. So che la loro composizione e il modo in cui operano dall'interno è in realtà solo una parte di questa operazione internazionale imperiale. Una parte falsa, cosmetica e preordinata.
La città ha ancora 180.000 dei suoi abitanti. Sono fuggiti in poche centinaia perché le loro case e vite sono state distrutte. Ma 180.000 rimangono ancora all'interno della città, unito al fatto che intere tribù sono fuggite verso Sirte perché le bande hanno invaso i loro villaggi e proprio in questo momento vengono bombardati, gli edifici crollano, ecc. Carri armati, reggimenti e missili Grad, colpiscono senza distinguere fra obiettivi militari e civili.
Caro fratello, ho personalmente avuto colloqui telefonici con le organizzazioni internazionali e alcuni canali televisivi internazionali e ho chiamato le organizzazioni dei diritti umani, funzionari e ben note autorità delle Nazioni Unite. Ho chiesto a tutti di venire a Sirte, in considerazione delle precedenti visite in altre città della Libia mentre veniva condotta questa cospirazione contro di noi. Perché non vengono ora a registrare e raccogliere dati sulla distruzione e i crimini a Sirte? Dicono OK verremo, ci organizziamo e verremo. E’ passato un mese dalla mia richiesta e non un singolo canale televisivo è entrato Sirte, non un'organizzazione è entrata a Sirte, non una delegazione della Croce rossa ha raggiunto Sirte. Non una singola entità islamica o autorità delle Nazioni Unite ha commentato la distruzione della città di Sirte!
La cospirazione è chiara a chiunque abbia un cuore o possa ascoltare cosa sta accadendo. Per le persone che non hanno cuore e non vogliono conoscere o imparare o analizzare o abbattere questo regime ingiusto globale, sarebbe certo meglio vivere nella beata ignoranza, ma noi preferiamo estendere la conoscenza e sapere sempre di più.
In ogni guerra, la ricerca della verità è il primo punto e noi siamo dalla parte della verità, con l'aiuto di Dio!

Dr. Moussa, qual è la situazione sul terreno, in prima linea, soprattutto nelle città resistenti circondate? Voglio dire Bani Walid, Ghadamis e Sirte?
Cercherò di fornirvi una sintesi. Ci sono due tipi di prima linea, di campi di battaglia. Ci sono i fronti principali, Bani Walid, Sirte e Sabha e ci sono altri fronti nelle città invase.
Partendo da queste ultime, possiamo osservare che il movimento di resistenza è aumentato. Vengono di continuo svolte operazioni a Zliten, Tripoli, Zawiya, Azizia e Tarhouna e in altre città. Alcune sono operazioni pianificate e organizzate mentre altre di piccole dimensioni sono portate avanti da pochi individui. Sono tutte riuscite e si vedono risultati positivi. Ci sono state vittime fra i nemici. Ma la cosa più importante è che la bandiera della lotta viene sollevata. La continuazione di queste operazioni dimostra che la Nato non può assumere il controllo della Libia.
In termini di fronte principale, grazie a Dio, Bani Walid è stata realmente e completamente ripulita entro un ampio raggio che circonda la città e va detto che in qualche modo stiamo ancora subendone gli effetti, naturalmente.
Ma i cadaveri dei miliziani della Nato sono rimasti nelle valli e montagne di Bani Walid. Naturalmente i capi delle forze di terra dei ribelli Nato conoscono bene questo fatto. L'ospedale Tarhouna, l’Ospedale Tajoura, Il Tripoli Medical Centre sono tutti pieni dei corpi provenienti dal campo di battaglia di Bani Walid. In considerazione di ciò, per queste bande Bani Walid ha assunto il significato di “morte”. I rapporti da questo fronte sono eccellenti. L'ultimo attacco a Bani Walid è stato ieri, oggi non ci sono stati attacchi. Ieri molti hanno sacrificato le loro vite. Vorrei salutare tutte le tribù di Bani Walid, soprattutto quella della battaglia nella Valle di Ghalboun e i nostri fratelli Sbaya e Asahbaa, Kimmat, Qbool, Gwaydaa che ci hanno protetto e difeso.
Dal punto di vista della seconda principale linea del fronte della città resistente di Sirte, gli attacchi sono stati maggiori. Sono arrivati da cinque diversi punti supportati da pesanti bombardamenti Nato e sostenuti con armi molto moderne. Ma i giovani di Sirte sono stati capaci di resistere a quest’attacco. E posso dare un’informazione giunta solo due ore fa, sui giovani di Sirte che hanno compiuto una forte avanzata nella parte est della città, costringendo il nemico alla fuga e a ritirarsi di alcuni chilometri e che ha anche portato alla requisizione di alcune delle loro armi. Anche il sud e l’ovest della città sembra stiano facendo bene.
Nel dire questo, vorrei avvisare i telespettatori che ci aspettiamo che gli attacchi a Sirte si intensificheranno a partire da domani soprattutto nella zona ovest e sud. Ma, siamo pronti e contiamo su una forza ragguardevole a ovest e con un duro lavoro sui fronti sud ed est valutiamo di eliminare completamente la minaccia nei prossimi giorni.
Se posso, vorrei cogliere l'occasione per rilasciare una dichiarazione alle tribù delle città violate, per esempio l’onorevole popolo di Tarhouna. Sappiamo che il popolo fiero e patriottico di Tarhouna non può accettare i ribelli della Nato e da loro riceviamo costantemente lettere che indicano la loro opposizione alla Nato ma sono costretti al silenzio contro la loro volontà.
Noi diciamo loro che se non possono e non hanno le capacità per aprire un campo di battaglia e di resistenza nella città stessa, che almeno i lealisti si muovano a centinaia da Tarhouna, Wershefanna, Asabeeaa, Seean e Hawamed e da ogni parte per unirsi alla prima linea a Bani Walid e Sirte. Naturalmente, abbiamo già un gran numero di appartenenti a tali tribù in questi campi di battaglia, ma esse devono continuare a inviare sempre più persone in modo che le nostre forze possano ingrandirsi e, alla fine, aprire un fronte di battaglia nella loro città.

Dottore, ringrazio ancora Dio per la vostra incolumità, la ringraziamo per la sua partecipazione e la salutiamo insieme alla vostra resistenza.
Prima di andare vorrei portare le personali condoglianze per conto del nostro Leader della Rivoluzione, Muammar Gheddafi, alla famiglia dell’eroe Jamal Abdal Nasser per suo figlio Khalid. Possa Dio avere pietà della sua anima, il Leader Muammar Gheddafi vuole esprimere il più profondo rispetto alla famiglia di Jamal Abdul Nasser, a tutto il popolo libero e a tutti gli arabi. E vorremmo rafforzare la lotta che Jamal Abdel Nasser ha condotto per la libertà, l'orgoglio e la lotta che tutti gli arabi affrontano contro gli occupanti stranieri, contro il furto di petrolio, contro la creazione di basi militari in Libia e in qualsiasi paese arabo. Vorremmo porgere ancora una volta le nostre più profonde condoglianze al popolo arabo. Vorremmo dire che, a Dio piacendo, manterremo alta la bandiera della libertà, dell'orgoglio, dell'Islam e dell'onestà fino alla vittoria, Inshallah.

01 ottobre 2011
da libya360.wordpress.com, in www.resistenze.org
Traduzione dall'inglese a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


dalla lotta dentro e contro i c.i.e.
Anche questa volta e unicamente per ragioni di spazio, riportiamo solo parte di quanto accaduto nei CIE italiani, siamo consapevoli di tralasciare parecchi avvenimenti non meno importanti. Nella cronologia che segue non sono infatti riportati i numerosi scioperi della fame praticati dai prigionieri (come ad esempio lo sciopero della fame e della sete iniziato lo scorso 13 settembre nel CIE di Bari-Palese) oppure i numerosi tentativi messi in atto da prigionieri e solidali volti ad impedire le espulsioni (come nel caso di Sonia a Fiumicino o a Torino) oppure ancora le varie iniziative e mobilitazioni di quanti non si rassegnano all'esistenza dei CIE ma hanno la precisa volontà di chiuderli (indicativo l'esempio di Torino in cui i solidali che manifestavano sono stati caricati a freddo dalla polizia). Sempre solidali con le rivoltose e i rivoltosi.

Milano, 6 settembre
Rivolta, ieri sera, nel CIE di via Corelli a Milano. Dopo i tentativi di evasione dei giorni passati i reclusi hanno appiccato incendi in diverse camerate del Centro. Poi in molti sono saliti sui tetti e la polizia, spenti i fuochi, è entrata nelle sezioni e ha fatto scendere la gente a forza di manganellate. A parte dieci ragazzi che sono stati portati via in ambulanza, gli altri reclusi sono stati radunati nel cortile e fatti inginocchiare nudi, mentre la polizia perquisiva le camerate. Pare che nessuno sia riuscito a scappare e non sono ancora chiari quali danni abbia subito la struttura.
Intorno all'una di notte era di nuovo tutto "tranquillo". Due dei dieci reclusi dall'ospedale sono stati portati a San Vittore. Il loro arresto è già stato convalidato.

Trapani, 6 settembre
Torna a salire la tensione nel CIE di Trapani Milo, gestito dalla cooperativa “Insieme” del consorzio “Connecting People”. Dopo le ripetute fughe del mese di agosto, da una settimana nel Centro regnava una calma apparente. Diverse decine di reclusi erano stati liberati con il classico foglio di via di sette giorni per far spazio ai nuovi ragazzi appena sbarcati a Lampedusa. Alla sera, intorno alle 23, in tanti hanno di nuovo tentato la fuga: ci sono stati alcuni tafferugli con le guardie, con lanci di bottiglie e pezzi di sedie e tavoli da una parte e manganellate dall'altra. Almeno quindici reclusi, forse riconosciuti grazie alle telecamere di videosorveglianza, sono stati prelevati dalle guardie e portati via dalle sezioni. Nessuno è riuscito a scappare.

Roma, 9 settembre
“Ventuno stranieri di diverse nazionalità sono fuggiti ieri sera dal CIE di Ponte Galeria.
La fuga sarebbe avvenuta nel corso di un trasferimento di routine all'interno del Centro. Le ricerche non hanno dato ancora esito. L'ennesima fuga di migranti da Ponte Galeria è la conferma di quanto sia complessa la gestione quotidiana degli ospiti del centro dove, nonostante l'attenzione delle forze dell'ordine e degli operatori che gestiscono la struttura, è sempre più problematico garantire il rispetto dei diritti umani. Il caldo, l'affollamento, la disperazione degli ospiti e, non da ultimo, l'allungamento dei tempi di permanenza, sono ingredienti che contribuiscono a creare una miscela esplosiva. Spero che il governo e, in particolare il ministro dell'Interno, ripensino alla spaventosa situazione di sofferenza in cui si trovano queste persone e recuperino un senso di solidarietà che sembra, purtroppo, essersi perduto". Così in una nota il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni.

Torino, 10 settembre
Questa notte, intorno alle quattro c'è stata un'evasione dal CIE di Torino. A quanto pare sono riusciti a uscire dalla gabbia che circonda l'area viola dopo aver staccato qualche sbarra, segata in gran segreto nel corso delle ultime settimane. Una volta nel cortile si sono lanciati contro le guardie, colte di sorpresa, e hanno iniziato a scavalcare il vecchio ingresso di Corso Brunelleschi. I militari hanno fermato qualcuno ma in dodici sono riusciti a scavalcare il cancello. La Questura, a corto di uomini per l'impegno in Val Susa e a Torino contro i No Tav, ha lanciato l'allarme.
Dopo quest'ultima evasione al CIE di Torino arriva il metal detector. Servirà a ispezionare i pacchi alimentari e i vestiti che amici e familiari portano quasi quotidianamente ai reclusi. Pare infatti che alla base del piano di fuga escogitato dai reclusi dell'area viola ci fossero delle lime di ferro che, secondo la polizia, sarebbero entrate di nascosto proprio con dei pacchi di generi alimentari.

Torino, 11 settembre
Il giorno dopo la grande fuga ci hanno provato altri due reclusi. Durante la distribuzione della colazione, hanno approfittato di un momento di distrazione delle guardie per accostare la porta della gabbia ma senza far scattare la serratura. E al momento opportuno hanno riaperto e si sono messi a correre verso il piazzale centrale da dove si sono lanciati sulla seconda recinzione che bisogna scavalcare per arrivare al muro di cinta su corso Brunelleschi. Ma li hanno presi prima e li hanno fatti scendere. Per poi menarli sul posto e portarli direttamente in carcere. Arresto in flagranza di reato con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Processati per direttissima, si sono presi uno un mese e l'altro otto. Ma sono stati subito scarcerati, con la condizionale, e riportati al CIE per essere espulsi nei prossimi 18 mesi.

Modena, 17 settembre
Dieci vetture della polizia, auto della Municipale, gli uomini dell'esercito, carabinieri e Finanza. C'erano tutti. E sul tetto, ad osservare due “ospiti” in “assetto” di protesta. Al primo accenno di rivolta al CIE, la task force è stata mobilitata ed è scesa sul campo. Verso le 18.30 infatti è stato diramato l'allarme: due tunisini erano riusciti ad arrampicarsi sino a raggiungere la zona dei tetti. L'obiettivo finale quello di riuscire a calarsi all'esterno utilizzando delle lenzuola, usando una tecnica e un copione giù utilizzato in parecchi tentativi. Ma sono stati subito scoperti e sul posto, tanto all'esterno quanto all'interno, si è creata una grande concentrazione di forze dell'ordine. Lo scopo primario è stato quello di sedare sul nascere ogni protesta: da una minima scintilla infatti è possibile, come in effetti è avvenuto qualche mese fa, che dalla protesta si passi ad una rivolta collettiva, rivolta facilitata dal fatto che tutti i detenuti della struttura sono della stessa nazionalità.

Lampedusa, 20 settembre
Lampedusa brucia, ancora. Ogni sincero nemico delle frontiere e delle espulsioni freme di gioia per questo ennesimo incendio alimentato della rabbia e della voglia di libertà, e allo stesso tempo trema di rabbia e di sgomento per le vergognose parole del sindaco De Rubeis ("Questo è uno scenario di guerra. C'è una popolazione che non sopporta più, vuole scendere in piazza con i manganelli e difendersi da sola"). Parole che suonano come una vera e propria istigazione alla guerra civile. Parole che, lo sappiamo tutti molto bene, possono essere prese molto sul serio. A questo punto, ogni sincero nemico delle frontiere e delle espulsioni non può limitarsi a contemplare quella che potremmo definire la "rabbia degli altri", di qualunque segno essa sia. Occorre avere pronte idee e proposte semplici e all'altezza della gravità della situazione, e soprattutto delle sue potenzialità. "All'altezza della situazione" significa semplicemente questo: chiunque, in un'ipotetica assemblea, si facesse avanti ora con un discorso genericamente antirazzista, pieno di tutte le banalità del caso (siamo stati emigranti anche noi, dobbiamo accoglierli, e via sbrodolando) e proponesse, per dirne una, un volantinaggio davanti al municipio, ebbene costui correrebbe il rischio concreto di essere preso a sberle, sberle forse ben meritate. Ma se invece l'idea fosse "il problema è l'esistenza del CIE" e la proposta fosse "distruggiamo quel che ne resta e impediamone la ricostruzione", ci potrebbe essere qualche concreta possibilità che diversi lampedusani arrabbiati, arrabbiati indistintamente col Governo e con gli immigrati, decidano di mettere da parte i manganelli di De Rubeis, e di impugnare tronchesine, piedi di porco, mazze, picconi e tutto quel che serve per terminare una volta per tutte l'opera di demolizione cominciata dai rivoltosi.
Si susseguono, una dopo l'altra, le agenzie di stampa sulla sommossa di Lampedusa. Le notizie sono ancora frammentate e un po' confuse.
Questo pomeriggio i reclusi hanno dato vita ad una grossa protesta dando fuoco al Centro che ora sta bruciando, un incendio che non può non riportare alla mente quello del febbraio 2009. Buona parte dei migranti sono scappati e si sono diretti verso la piazza centrale del paese per continuare la protesta. L'incendio non è ancora stato spento, ma si parla di due terzi del Centro inagibile e sembra che a causa della grossa nube di fumo sia stato chiuso l'aeroporto dell'isola.

Brindisi, 20 settembre
Una nuova fuga è avvenuta la notte scorsa dal CIE di Restinco. Una sessantina di immigrati sono riusciti a far perdere le proprie tracce. Si tratta dell'ennesima fuga che si verifica nel Cie brindisino. Al momento le forze dell'ordine sono a lavoro per cercare di rintracciare gli uomini che si sono dati alla macchia.

Lampedusa, 21 settembre
È degenerata la protesta di alcune centinaia di tunisini che si stava svolgendo nei pressi del porto vecchio di Lampedusa, a due passi da una pompa di benzina. Un gruppo di tunisini ha preso dal centro di accoglienza alcune bombole di gas e le ha portate nei pressi di una pompa di benzina al porto vecchio, minacciando di farle saltare in aria. Immediatamente una cinquantina di lampedusani si sono avventati contro i tunisini ed è nato un parapiglia. A questo punto le forze dell'ordine, in assetto antisommossa, hanno caricato i manifestanti. Gli scontri hanno coinvolto anche alcuni abitanti dell'isola, che hanno dato vita a una fitta sassaiola nei confronti degli immigrati, che hanno risposto lanciando a loro volta pietre e suppellettili. Una decina di migranti presentano diverse escoriazioni e contusioni. Per uno di loro, in stato di semicoma, il responsabile sanitario ha chiesto il trasferimento urgente a Palermo in eliambulanza. Altri scontri tra tunisini e forze dell'ordine sono avvenuti anche all'interno del Centro dove si trovano ancora un centinaio di immigrati. I reclusi avrebbero lanciato sassi e altro materiale contro gli agenti che presidiano la struttura.

Navi galere a Palermo
È proprio vero che al peggio non c'è mai fine. Dopo i fatti di Lampedusa, dopo quel naufragio dell'umanità che ha portato a una guerra civile fra immigrati e abitanti dell'isola e alla conseguente espulsione di tutti i tunisini, il governo italiano sta mettendo in atto un'operazione inaudita, degna dei peggiori regimi dittatoriali. In queste ore, settecento immigrati che si trovavano a Lampedusa sono stati trasferiti e si trovano attualmente stipati e detenuti su tre navi ancorate al porto di Palermo: "Moby Fantasy" e "Audacia" di Grandi navi veloci, e la "Moby Vincent". Il molo Santa Lucia è letteralmente blindato. Sono 650 gli agenti delle forze dell'ordine impiegati in questo internamento concentrazionario su quelli che, burocraticamente, sono definiti "centri di raccolta galleggianti". L'obiettivo è quello di rimpatriare a poco a poco tutti gli immigrati, ma la cosa agghiacciante è che le autorità stanno cercando di nascondergli come stanno realmente le cose. I telefonini dei migranti sono stati tutti sequestrati per evitare ogni contatto con l'esterno e scongiurare possibili rivolte a bordo delle navi. Nel frattempo, il governo di Tunisi tiene duro, e le operazioni di rimpatrio stanno subendo un evidente rallentamento.
Sulle navi le condizioni igieniche sono ai limiti della tollerabilità umana e la tensione cresce di ora in ora. Non dovrebbe più stupire nessuno, ma vale la pena di ricordare che tutto questo avviene al di fuori di ogni minima garanzia legale. Le detenzioni non giustificate da un provvedimento di un giudice sono contrarie al più elementare ordinamento giuridico democratico, così come sono legalmente vietate le espulsioni di massa. E invece, a Palermo, il governo italiano tiene segregate settecento persone su tre navi al porto, come se fossero appestati in quarantena, in attesa di disfarsene il prima possibile.

Torino, 22 settembre
Nuova evasione dal CIE di Torino, a meno di due settimane dall'ultima spettacolare fuga: questa volta si è trattato di una vera e propria sommossa che ha coinvolto quasi tutto il Centro. Intorno a mezzanotte i ragazzi di tutte le aree maschili hanno sfondato i cancelli e hanno iniziato a scavalcare le seconde recinzioni. Polizia e militari sono intervenuti in forza e molto rapidamente per fermare la sommossa, e ci sono stati duri scontri. A quanto pare le guardie oltre ai classici manganelli hanno utilizzato anche idranti e spray urticanti. Alla fine si parla di 22 evasi e 10 arrestati, queste le cifre ufficiali fornite della Questura e prontamente riportate dai giornali. Anche i racconti di chi non ce l'ha fatta riportano più o meno le stesse cifre, ma per i ragazzi ancora reclusi fare la conta è difficile. Molti sono scappati senza telefoni: alcuni non l'avevano proprio, altri lo hanno abbandonato volontariamente durante la fuga. Quindi è complicato capire chi è finalmente libero, chi all'ospedale, chi in carcere.

Modena, 27 settembre
Durante la notte appena trascorsa gli stranieri trattenuti presso il CIE (attualmente 57) hanno tentato, ancora una volta, di scappare ricorrendo a funi artigianalmente realizzate. Alcuni hanno poi dato fuoco ai materassi posti all'interno di due dei quattro moduli abitativi. Anche tale tentativo non ha avuto alcun esito per l'intervento di due squadre del Vigili del Fuoco che hanno provveduto a spegnere i focolai d'incendio con danni minimi alle infrastrutture murarie. E' stato poi arrestato uno degli stranieri, accusato di avere appiccato il fuoco, servendosi delle immagini registrate dall'impianto di video-sorveglianza.

Brindisi, 30 settembre
Dopo la fuga nei giorni scorsi di 62 migranti, a Restinco la comunità tunisina lancia una nuova sfida alle forze dell'ordine: altri 18 sono scappati nella serata di ieri. Cinque finora gli arrestati. Il resto dei fuggitivi lo cercano ancora nella campagne intorno alla città. Un allarme che intorno alle 19 di ieri ha fatto scattare diverse divisioni in tenuta antisommossa: erano presenti carabinieri, polizia, guardia di finanza e militari delle Forze armate. Questa volta la protesta degli immigrati tunisini si è limitata inizialmente alla zona interna della struttura. Poi, nella sera, hanno raggiunto i tetti e cercato quindi la fuga.

Torino, 2 ottobre
Un tentativo di fuga è stato messo in atto in serata dagli immigrati rinchiusi in tutte e quattro le aree del Cie di Torino ma è stato neutralizzato dalle forze dell'ordine. La protesta é cominciata contemporaneamente in tutte e quattro le aree. Gli immigrati hanno tentato di sfondare le reti e i cancelli d'ingresso, ma purtroppo sono stati bloccati.


Brindisi, 2 ottobre
Una fuga in massa si è verificata dal CIE di Restinco, alle porte di Brindisi. Diciotto tunisini sono riusciti a dileguarsi nel corso di scontri con le forze dell'ordine che hanno provocato il ferimento di undici tra poliziotti, finanzieri e militari del Reggimento San Marco. La rivolta si è protratta per alcune ore all'interno della struttura e ha visto coinvolti gli 84 reclusi, tutti provenienti da Lampedusa. I rivoltosi hanno sradicato le porte per utilizzarle come grimaldello per creare un varco nella recinzione attraverso cui sono fuggiti in diciotto. Quattro di loro sono stati rintracciati e ammanettati. Devono rispondere di violenza, resistenza, minacce, lesioni e a pubblico ufficiale e danneggiamento del patrimonio dello stato.

Torino, 3 ottobre
Dopo la carica di ieri pomeriggio fuori dalle mura del Cie di Torino, questa sera gli idrofobi-in-divisa della Questura hanno pensato bene di passare all'attacco pure dentro alle mura. Non è ancora chiaro se ci sia stato un tentativo di fuga di vero e proprio da parte dei reclusi, o una protesta dopo un diverbio, oppure ancora una semplice battitura. Sta di fatto che la reazione è stata pesante: lacrimogeni e idranti contro i prigionieri. In particolar modo, un lacrimogeno è stato tirato giusto sulla faccia di un recluso ferendolo seriamente. Il ragazzo colpito dal lacrimogeno è stato ricucito al Martini con cinque punti di sutura alla faccia per poi tornare dentro alle gabbie.

Modena, 4 ottobre
Arresto, nella notte, per cinque cittadini tunisini del CIE di Modena. I Carabinieri li hanno arrestati in seguito all'aggressione subita da alcuni militari mentre stavano aiutando i gestori civili della Misericordia nell'accompagnamento di un recluso nell'infermeria della struttura.

Milano, 4 ottobre
Si è tenuta oggi la seconda udienza del processo ai due ragazzi arrestati a Milano in seguito alla rivolta avvenuta all'interno del CIE lo scorso 6 settembre. I due ragazzi sono accusati di resistenza aggravata perché il reato sarebbe stato compiuto da più persone in occasione di una rivolta e per tale ragione la competenza è passata dal tribunale monocratico a quello collegiale. Durante la prossima udienza, fissata per il 20 ottobre, verranno ascoltati quattro poliziotti e il responsabile della Croce Rossa che gestisce il centro. I due ragazzi sono ancora rinchiusi nel carcere di San Vittore perché l'esito del riesame è stato negativo.

Bari, 8 ottobre
Tornano a farsi sentire i reclusi del Cie di Bari-Palese. Ad un mese di distanza dallo sciopero della fame col quale denunciavano la propria condizione la situazione non è cambiata di molto, tra sovraffollamento e pestaggi più o meno quotidiani. Dicono di aver raggiunto il limite della sopportazione e minacciano atti di autolesionismo di massa.
A far precipitare la situazione, la storia paradossale di un recluso che ha saputo proprio questa mattina di aver perso la madre e che dunque vorrebbe tornarsene in Tunisia dalla sua famiglia: nonostante le sue richieste, però, la Questura non lo lascia partire volontariamente.

Milano, ottobre 2011
Lettera dal carcere di San Vittore (milano)
Nahed è stato arrestato nel CIE di via Corelli (Milano) all'inizio di settembre 2011 con l'accusa di aver preso parte a una rivolta. Trasferito a San Vittore è ora sotto processo per "resistenza aggravata perché in concorso con altri", in pratica per rivolta. A Mohamed è stato riservato lo stesso trattamento conosciuto da Nahed.

Sono Nahed, vengo dalla Tunisia, sono padre di tre bambini. Sin da quando ero piccolo mia madre e mio padre si sono separati e ho vissuto parte della mia infanzia negli istituti. Mi sento davvero a terra a essere in galera e sapere che la mia famiglia non trova di che mangiare. Devo uscire dal carcere. Non ho colpito l'agente di polizia; non l'ho potuto fare perché avevo ed ho la mano sinistra fratturata, in seguito a uno scivolone in una toilette del Centro di via Corelli.
Cari amici, devo dirvi che ancora oggi sento le conseguenze dei colpi di manganello e dei calci tirati dai poliziotti, che facevano la gara a chi li tirava più forti; sotto la violenza di quei colpi sono svenuto, quando ho riaperto gli occhi mi trovavo all'ospedale, dove mi hanno visitato sommariamente per subito riportarmi al Centro.
Quella sera eravamo almeno cinquanta persone a protestare. Ancora non capisco perché hanno scelto di portare in tribunale il mio amico Mohamed e me. Chiedo a dio di tirarmi fuori da questa situazione; amo la libertà.
Ringrazio tutte le persone che ci esprimono solidarietà. Ti sono grato della lettera.

5 ottobre 2011
Nahed Ferchichi, Mohamed Mraihi, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano


Lettere dal carcere di SanRemo (im)
Ciao amici e amiche, chi vi scrive è Adriano Levratto per informarvi che ho inviato alla Corte d'Europa per i Diritti dell'Uomo (Strasburgo) cinque ricorsi: contro lo stato di polizia italiano, uno dei quali contro il sindaco e gli assistenti sociali del comune di Vado Ligure.
Nei ricorsi ho scritto che per anni ho chiesto loro un aiuto riguardante un alloggio e un lavoro, l'opportunità di non andare più a delinquere, spacciando hascisc e cocaina.
Anche da detenuto ho continuato a rivolgermi agli assistenti sociali, compresi gli educatori della C.C. di Savona.
Vi scrivo anche per chiedere a voi, se potete indicarmi un ente statale cui rivolgermi, per lamentarmi di tali inadempienze nei miei confronti.
Purtroppo so già che è una battaglia persa, ma io voglio lottare lo stesso.
Sono arrivato al punto che ho deciso che il giorno in cui uscirò, inizierò uno sciopero della fame e della sete a oltranza, cosa che mette male farla all'interno del carcere repressivo, dove si avrebbero mille ricatti.
Ad ogni modo, spero in un vostro aiuto, compagni e compagne, chiedo consigli, quanto meno su come muovermi.
Nell'attesa vi lascio con la penna ma non con il cuore… un grosso abbraccio da Adriano.

20 agosto 2011

A chi rifiuta di servire la proprietà privata o viene emarginato con il licenziamento e l'espulsione dal mercato del lavoro, le istituzioni rispondono con il carcere e questa è la funzione che le legittima. Istituzioni e personale che fa funzionare le carceri possono anche provare a cercare un posto di lavoro e un alloggio ma questo non le riguarda più di tanto, ancor meno in un momento di crisi dove licenziamenti e sfratti sovrastano la realtà.
La debolezza della lotta contro questo sistema perverso determina, fra le altre cose, in chi subisce le istituzioni, aspettative impossibili riposte nelle istituzioni stesse, disperazione, senso di totale impotenza.
Quest’ultima lettera noi l'abbiamo capita così, cioè, come un appello a lottare insieme per affrontare, risolvendo assieme, anche i problemi immediati ma decisivi, quali l'assenza di un alloggio e di un reddito. Per esempio, la mancanza dell'alloggio può essere vinta dall'occupazione di una casa...

***
Compagni/e di Olga, dal TG, sentendo dire da Emma Bonino e Marco Pannella, che dall'inizio dell'anno ci sono stati in carcere cinquanta suicidi, di persone detenute, esseri umani, giovani, se va bene, tenute in "carceri", prigioni medioevali, per come sono costruite e gestite. Queste cose a me, perché le vivo, mi toccano nel cuore, mi fanno vergognare, scusate se lo dico, di essere italiano. Una nazione, l'Italia, che tratta meglio gli animali degli esseri umani.
Una volta, quando ero più giovane, guardando i cartoni animati Simpson, me la ridevo, scoppiavo dal ridere per l'assurdità, la pazzia, di come si viveva a Springfield. Oggi, con un sorriso amaro, realizzo che in Italia la vita è come vivere nei Simpson, però tutto ciò non fa più ridere, anzi fa piangere. Siamo consci che ragazzi giovanissimi sono in carcere per un pezzo di haschisch (fumo) che fumano loro stessi, al massimo con gli amici. Questi ragazzi, arrestati come "mafiosi", sono entrati in carcere e ne sono usciti sdraiati, con i piedi avanti. E' stato lo stato italiano mafioso ha fargli il cappotto di noce. Sì, lo stato li ha messi nella condizione di uccidersi con le proprie mani. Questo è uno stato assassino. E tutto questo alla popolazione italiana scivola addosso, come l'acqua. Posso solo dire: vergogna. Compagni/e vi lascio con la penna, ma non con il cuore, un grosso abbraccio da Adriano.

28 settembre 2011
Adriano Levratto, via Valle Armea, 144 - 18038 - S. Remo (Imperia)

Cento detenuti morti in sei mesi: il numero mai raggiunto nella storia penitenziaria italiana […] una lista che giorno dopo giorno inesorabilmente si allunga: nei primi 183 giorni del 2011 (esattamente metà dell'anno solare) nelle carceri italiane hanno perso la vita 100 detenuti: 32 si sono "suicidati"; dei rimanenti 68 (età media 35 anni) circa la metà è deceduta per "malori improvvisi" legati a disfunzioni cardiache, respiratorie, etc., mentre su 23 casi sono in corso inchieste giudiziarie miranti ad accertare le cause dei decessi.
Se l'andamento dovesse proseguire anche nella seconda metà dell'anno a fine 2011 si registrerebbe il numero più alto di decessi della storia penitenziaria italiana, superando anche il "record" del 2010, quando si registrarono 186 "morti di carcere".
Nel 2006 e nel 2007, quando per effetto dell'indulto la popolazione detenuta era tornata nei limiti di capienza previsti per il sistema penitenziario, i detenuti morti furono rispettivamente 134 e 123 (minimo del decennio).
Dal 2000 ad oggi il totale dei detenuti morti è di 1.847 (658 i suicidi)…

Dati elaborati dal Centro Studi di "Ristretti Orizzonti" - Padova

lettera dal carcere di opera (milano)
"suicidi", reparto di isolamento-cella liscia-tortura
Ciao a tutte e tutti, mi trovo ancora nel reparto isolamento; non sono più nella cella liscia (cioè, senza alcun suppellettile, solo pareti e pavimenti nudi). Nel frattempo nella cella liscia sono già passati altri. L'altro giorno è arrivato un ragazzo arabo, lo hanno portato lì dal centro clinico dove aveva fatto casino. E' classificato AS2, gli manca una mano, ha il volto sfigurato ed è cieco. Quando si è fatto sera questo ragazzo ha chiamato la guardia, gli ha chiesto un maglione perché aveva freddo, ma la guardia gli ha risposto di non chiamarla e "non devi rompere il cazzo".
La cella liscia funziona in questo modo: finestra chiusa con bulloni di ferro, niente lenzuola, niente armadietto, nemmeno porta del bagno, tavolo, sgabello e vestiti; è peggio che stare nei manicomi. Le disposizioni dicono che al detenuto non si può dare niente fino alla visita dello psichiatra.
Il ragazzo ha chiesto il maglione sabato, la visita psichiatrica è il martedì e il giovedì. L'indomani sono passato all'azione diretta: mi sono messo a udienza con il capoposto, gli ho raccontato l'accaduto, ho chiesto di trasferire il ragazzo in un reparto adeguato e di fargli avere un piantone; nell'occasione mi ha consentito di indossare dei guanti e di lavargli i panni sporchi. Mentre lavavo i panni in doccia con il detersivo sono passati dei secondini che hanno preso a sfottermi: il lavandaio, il lavandaio…
Queste sono le prigioni italiane, queste sono le patrie galere, e siccome noi siamo senza patria queste galere le distruggeremo!
Saluti ribelli, un saluto a pugno chiuso a tutti e tutte, l'anarchico William

28 settembre 2011
William Antonio Pilato, via Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)


Lettere dal carcere di Carinola (ce)
Carissimi compagni, […] Dopo quasi un mese di lotta, in cui sono state fatte battiture di tre giorni, abbiamo terminato. La lotta era per l'acquisto della spesa. Ma non solo. Anche per la poca vivibilità che c'è in questo carcere e anche per la solidarietà a Marco Pannella, per l'abolizione dell'ergastolo e per l'amnistia per i reati minori e per aiutare quella fascia di detenuti che potrebbero uscire subito.
Lo abbiamo più volte ribadito: le carceri sono diventate discariche dove rinchiudere esseri umani indesiderati, persone che non hanno commesso alcun reato, che cercano solo di sopravvivere, che cercano il diritto a una vita dignitosa.
Da molti anni la Gozzini è tecnicamente cancellata e i giudici non concedono più misure alternative alla detenzione carceraria.
Ancora peggiore è la situazione di chi ha pene lunghe, al di là di qualsiasi ipocrisia democratica, è lo stesso art. 27 della Costituzione che viene deriso! Niente benefici o programmi di formazione lavorativa. Nessuna prospettiva per il futuro.
Si parla spesso di costruire ancora più carceri, e non riescono a trovare alternative, la soluzione è molto facile: aprire le porte delle carceri e fare uscire la gente. E' ignobile tenere persone in questi posti di sofferenza, perché per ogni uomo, anche un solo giorno trascorso qui dietro le sbarre, è un giorno di troppo, perché gli uomini devono vivere liberi, quindi è un oltraggio a quella libertà e dignità umana la cui difesa esige l'intervento attivo di tutti.
Altro problema, che tocca i carcerati: gli stipendi mensili, la "mercede", di chi lavora dentro sono stati dimezzati. Sono una miseria, regolati da non si sa quale contratto sindacale. Si sa come vanno le cose, è tutto un mangia-mangia tra ragioniere-impresa-direzione. Tutti sanno questo, ma a nessuno interessa. Oggi tutti si scandalizzano per la situazione delle carceri ma nessuno fa qualcosa di concreto oltre a blaterare false promesse. Dopo che è passato il momento di risonanza sulle carceri, si spengono i riflettori e rimane tutto come prima. Non cambia nulla.
Saluti a tutti da Mario e Antonino.

14 agosto 2011
Antonino Faro, v. S. Biagio, 6 - 81030 Carinola (Caserta)

***
“Si muore nell'indifferenza
Siamo un gruppo di persone detenute nella sezione F del carcere di Carinola e viviamo confinati in celle le cui dimensioni non superano gli 11-12 metri quadri. E, si badi, che in questi metri quadri sono inclusi gli spazi occupati da quattro brande e relativi armadietti (in gergo, bilancette), le finestre sono poste in alto e con vetri opachi, che non consentono la visione diretta all'esterno, l'illuminazione della cella è insufficiente e non consente di leggere e studiare agevolmente. I servizi igienici non rispettano la dignità delle persone e in questa condizione siamo costretti a vivere per 20 ore al giorno.
I materassi e i cuscini (in realtà delle spugne) sono sporchi e maleodoranti, nonché pieni di batteri e microbi e dio sa cos'altro e quando sei costretto a dormirci per anni, non è questione da poco, ma si tramuta in un vero problema di salute con sviluppo di patologie, che vanno dalle allergie gravi alle patologie respiratorie.
I colloqui con i nostri familiari si svolgono in locali inadeguati (un sudario d'estate, una cella frigorifero d'inverno) con un muro divisorio di mussoliniana memoria, che impedisce anche un semplice abbraccio ai nostri cari, con sgabelli fissi in cemento a spigolo vivo, che sono un pericolo per i nostri bambini.
Una situazione sanitaria che definire da Terzo Mondo è un eufemismo, basti dire che in questo carcere si muore tra l'indifferenza generale: tre i casi da novembre 2010 a oggi.
Dulcis in fundo, un'ottusa visione di lombrosiana memoria dell'esecuzione penale da parte dell'illuminata direzione del carcere, non consente alcun tipo di percorso rieducativi a cui la pena dovrebbe tendere, così come previsto dall'art. 27 della Costituzione”.

I prigionieri della sezione AS1, sempre di Carinola, condividono il comunicato e aggiungono: inoltre, dove ci troviamo noi i passeggi sono chiusi anche in alto con una rete di ferro, la stessa installata alle finestre delle celle. Questa rete rende molto difficile la visione verso l'esterno. Da un anno non ci portano più al campo sportivo, non c'è più (al suo posto hanno costruito una nuova sezione).

21 settembre 2011
Antonino Faro, via S. Biagio, 6 - 81030 Carinola (Caserta)


Un saluto dal carcere Terni
[…] per il resto, direi che sono ancora in gamba, come penso di voi. Qui dalla speciale routine del 41-bis seguo con immenso interesse le vicende del mondo e di questo meraviglioso paese, per cui, Hasta la Victoria Siempre!
Saluto voi tutte e tutti, con stima, ciao Roberto

18 settembre 2011
Roberto Morandi, v. Delle Campore, 32 - 05100 Terni


Lettera dal carcere di Nuoro
Cari compagni, non sapendo la disponibilità che avete, metto più titoli (nella richiesta di libri). Ciò che fate è molto bello, ricordo quando stavo a 41-bis, solo tre libri in cella, proprio per cercare di spegnere il cervello. Grazie.

11 agosto 2011


Lettera dal carcere di Cagliari
Carissimi compagni […] Qui a Cagliari (Buoncammino) oltre alla battitura, sciopero del carrello, non si è risolto proprio niente! A mio modesto parere, penso sia inutile dar retta all'amico Pannella perché sta predicando nel deserto! Viviamo una situazione di strapotere politico-giudiziario, e per questo vi dico che se non adottiamo proteste più drastiche non otterremo mai niente di concreto! Addirittura il nostro "illustrissimo" direttore, tale dott. Pala, ha riferito alla testata giornalistica "L'Unione Sarda" che le nostre fievoli proteste, fatte con tutta la rabbia da parte del 60% dei detenuti, non hanno sortito nessun effetto, anzi! E' stato solo controproduttivo e non abbiamo ottenuto niente!
Cari compagni, qui c'è carenza di tutto! A cominciare dalle carenze igienico-sanitarie e da tutto ciò che ne conviene.
Il mio modesto consiglio che posso dare a tutti voi, sperando in un tam tam, sarebbe quello di dare una svolta al sistema lavorativo all'interno del carcere, scopini, portavitto, cucina, muratori e idraulici pagati una miseria e trattati come schiavi, sarebbe utile rifiutarsi categoricamente di farlo, così da obbligare le istituzioni carcerarie a portare degli esterni, che dovranno pagare il triplo.
Anche se, facendo questi scioperi delle mansioni, noi detenuti andiamo incontro a delle "punizioni", tipo, negazione dei permessi o perdita giorni (di libertà anticipata) che legalmente ci spettano, ma chi se ne frega. Lotteremo sempre. Il mio invito sarebbe di organizzarci a breve termine, massimo due mesi, cioè a novembre. A chi non rispetterà questa nostra giustificata protesta e si abbassa ai ricatti della direzione penitenziaria, dobbiamo dire, far capire, da che parte stare. O con noi o con le istituzioni!!! Perché ogni giorno dobbiamo patire le angherie da parte loro che ci vogliono piegare, anche se non otterranno mai risultati positivi! Lottiamo fino allo stremo e facciamo valere i nostri diritti!
Vi invio tanti cari saluti e tanta solidarietà… grazie di esistere! Davide

22 agosto 2011
Davide Matta, v.le Buon Cammino, 19 - 09123 Cagliari


COMUNICATO LETTO IN AULA DI TRIBUNALE DA UN PRIGIONIERO "SOCIALE" SARDO CHE LO ha CONDANNATO A 12 ANNI DI RECLUSIONE
Come sempre il Tribunale si rivela come teatro autoritario, portato avanti dalla violenza istituzionale, dove giudici e pm sputano, le loro sentenze e accuse. Vorrebbero farmi credere che il problema sia io, imponendo con la forza l'esistenza dello stato, come se tutto questo fosse una cosa normale e giusta. E ora mi rinchiudete perché così ha deciso l'ordine democratico dittatoriale. Ve ne fottete anche del vostro linguaggio sul tanto proclamato stato di diritto che lo manipolate arbitrariamente. Non riconosco dunque l'autorità di questo Tribunale derivata da un'ideologia repressiva e assassina.
Siamo tutti dei prigionieri sociali, incatenati, dai falsi valori di questa società liberticida, col potere mediatico che sodomizza le menti, col ricatto salariale spacciato come unico sbocco per il futuro, che permette di rateizzare la vita, tra idolatrie di consumo, principi di obbedienza, alinazione quotidiana, desideri artificiali, persecuzioni, e violenze reazionarie di sbirri in divisa e non che devono sempre anche preventivamente reprimere per proteggere l'ego privato e borghese costruito sulla logica di profitto e di controllo.
Una vita di merda in un'immensa galera a cielo aperto. Anche questo tribunale, così come tutti gli altri, é l'espressione di quel potere di quella classe dominante che governa le nostre esistenze a discapito dei disadattati, che rende funzionale tutto il sistema imperialista di oppressione e che realizza il concetto della legge per rappresentare se stessa, autoproclamandosi come potere assoluto. Ribadisco ciò che ho dichiarato nell'interrogatorio di convalida, ritenendomi prigioniero sociale, e aggiungo, fino a quando non ci libereremo delle catene che ci opprimono.

6 luglio 2011
Davide Delogu, viale Buoncammino, 19 - 09123 Cagliari


Lettera dal carcere di Regensdorf (svizzera)
Carissime/i compagne/i di Olga […] scusatemi se mi faccio vivo solo adesso dopo tanto tempo, ma sono stati mesi belli intensi di robe e avvenimenti. Solo di recente sto rimettendo mano alla corrispondenza che nel mentre si è accumulata, dai mesi scorsi in cui avevamo ancora le forti restrizioni […]. Spero che stiate tutte/i bene, da stampati internet e notizie che raccolgo dalle lettere, sento sempre dell'importante lavoro che viene fatto su dalle vostre parti, soprattutto con momenti solidali fuori dalle carceri.
In questi giorni si sta celebrando a Bellinzona il processo alla corte del tribunale federale contro Andi. La stampa sta dando molto risalto al processo. Il procuratore ha chiesto 4 anni e mezzo ma per il verdetto ci sarà da aspettare l'8 novembre. Hanno preferito evidentemente dare la sentenza fuori dal "corpo del processo", dove i momenti solidali si sono fatti sentire come sempre e il senso politico dello stesso è stato espresso dalla dichiarazione della compagna.
Un forte abbraccio a tutte/i voi. Costa.

29 settembre 2011
Costantino Ragusa, Poeschwies Post Fach 3143 - 8105 Regensdorf (Schweitzerland)


Solidarietà alla compagna Andi
Dal 28 al 30 settembre si è svolto, al tribunale federale di Bellinzona, il processo alla compagna Andi militante del Revolutionaerer Aufbau e del Soccorso Rosso Internazionale. La compagna è accusata di varie azioni/attacchi incendiari e pirotecnici contro polizia e rappresentanze straniere in terra elvetica (spagnole, greche, israeliane). Questi attacchi, che si sono susseguiti per diversi anni, sono stati tutti rivendicati dal gruppo clandestino "Per una prospettiva rivoluzionaria". L'accusa ha chiesto quattro anni e mezzo, l'udienza per la sentenza non è ancora stata fissata.
Ad Andi ci lega un percorso di anni, percorso nato, cresciuto e sviluppatosi all'interno di una comune e condivisa volontà di sostenere i compagni prigionieri, perché non venga interrotto quel filo che a loro ci unisce. Iniziato con Marco Camenisch, dopo la sua estradizione in Svizzera e proseguito fino ad oggi con la nostra presenza al suo processo, passando per la lotta in solidarietà a Silvia, Costa e Billy.
Non ci dilungheremo nel rimarcare le capacità straordinarie, l'umanità e la determinazione di questa compagna, caratteristiche ben note a chi ha avuto la fortuna di conoscerla. Quello che ci preme riaffermare oggi è quel percorso nato anni fa, unendo la nostra solidarietà a quella espressa a livello internazionale, riconoscendo in tale pratica un collettivo e necessario patrimonio all'agire rivoluzionario. Convinti ancora più di prima che sia necessario, di fronte agli attacchi repressivi del nemico, che le diverse componenti rivoluzionarie rispondano unitariamente aldilà delle differenze, dell'ideologia e del progetto che caratterizza il loro intervento di lotta.
Andi è una parte fondamentale di questo percorso che sta crescendo ed è anche per questo che vogliono colpirla. Questo processo rappresenta l'evidente volontà di interrompere e disgregare le relazioni solidali, umane e politiche tessute in questi anni, rappresenta la volontà di interrompere il legame tra chi lotta dentro e chi lotta fuori, rappresenta la volontà di voler intimorire le nuove generazioni di compagni che si formano e crescono in continuità con le precedenti.
Questa strategia repressiva non è certo una novità in Italia, ma per la Svizzera rappresenta uno dei primi tentativi di mettere sotto processo l'identità rivoluzionaria dei compagni. Quello che viene giudicato in questi giorni non è soltanto la compagna comunista Andi ma anche tutti quegli individui e realtà che hanno condiviso e tutt'ora condividono con lei la medesima tensione di rivolta. L'apparato repressivo, che si alimenta anche delle divisioni interne al movimento, spera colpendo Andi di recidere quel filo di resistenza, lotta e solidarietà che si è tessuto in questi anni, facciamoli intendere, in maniera forte e chiara, che non sarà così.
Invitiamo tutti a manifestare la propria vicinanza e complicità in questi giorni prima che la corte si pronunci sul verdetto. Solidarietà con Andi! Solidarietà con Marco, Silvia, Costa e Billy! Solidarietà a tutti i prigionieri rivoluzionari.

3 ottobre 2011
Anarchici e Anarchiche di via del cuore, Il Silvestre


lettere dal carcere di prato
Seguono alcune lettere dal carcere di Prato dove viene spiegato come è stato vissuto il presidio del 10 settembre.

Ciao carissimi ragazzi mentre scrivo queste parole voi siete qui sotto il carcere. Sono molto contento che siate venuti per combattere per noi e per tenerci un po' di compagnia. Proprio ora ho preso una denuncia per istigazione alla rivolta. Ragazzi, qui nella 5a sezione siamo i soliti due che ci rimettiamo sempre, perché siamo quelli che non sopportano le minacce di questi secondini di merda. L'altro agisce con molta intelligenza, io invece quando litigo con loro non ho un confine e degrado sempre la situazione, finisco sempre nei grossi guai e mai per una cosa che riguarda direttamente me, ma sempre per i miei compagni detenuti.
Ragazzi, se non vi offendo vorrei tanto farvi una domanda. Oggi avevate paura a mandarmi un saluto in base al mio alias? (che è Bernardo Provenzano) capisco che è un alias molto pesante. Nella mia prima lettera vi avevo detto: spero di non essere rifiutato anche da voi, come mi ha già mi ha già rifiutato la società. Non sono un bravo oratore, non sono bravo con le parole. Preferisco i fatti. Qui ci sono tanti ma tanti oratori bravi, ma quando devono prendere parte per qualche compagno più debole non lo fanno, si fanno i fatti loro. Dicono: perché devo prendere un rapporto e perdere 45 giorni in un semestre? Perché non sopporto la loro arroganza. E mi dicono: perché non ti fai i c... tuoi? No, no, miei carissimi. Perché anarchico e ribelle si nasce e non si diventa.
Sono così dalla nascita, non parlo faccio parlare per me la 15 colpi 9x21 e l'AK 47, contro questo stato di merda e gli sbirri di Milano - che gli va troppo bene. Ragazzi, se non sono bravo a scrivere, ricordate che sono vivo e forte, non dimenticate che io ci sono sempre. Se vi va di farmi un regalo, che mi dia ancora più carica, mandate un cd con canzoni come questa che ci avete fatto sentire "Non mi avrete mai", così mi rilasso un po' anch'io. Ora vi lascio con la penna; vi mando un sincero e caloroso abbraccio.

10 settembre 2011
Gjinkolas Etmond, v. La montagnola, 76 - 59100 Prato

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Salve sono Rosario di 34 anni, ho deciso di scrivervi poiché sono recluso dal 23 maggio e vivo una situazione paradossale.
Colpito da ictus in data 1 novembre 2010, sottoposto a trattamento "trombolisi", ricoverato presso il presidio ospedaliero di Vibo Valentia. Entrato in carcere faccio presente il tutto ai sanitari e, ad oggi, ho avuto un ricovero, un ingresso in PS per "TIA" (Attacco Ischemico Transitorio), senza contare tutti quelli avuti in sezione e in cella, circondato da dottori che spesso fanno battute, fino a dirti che fingi, senza prendere i casi per il verso giusto.
Alla Dogaia la sanità non è presente. Mi sono segnato a visita medica e per ben due volte non sono stato chiamato. Ti fanno fare le visite e per avere notizie sul da farsi devi fare denunce a mezzo avvocato oppure sciopero della fame. I medici e il dirigente sanitario prendono tutto alla leggera. Posso solo affermare che ho presentato molte domandine per parlare con il dirigente sanitario, ma non si è mai degnato di farmi sapere qualcosa in merito al mio stato di salute. Non capisco come possano giocare con la vita delle persone. Questo, credo, sia loro concesso perché hanno troppo potere, credono che i detenuti siano animali, ma i veri animali sono loro.
Ultimo episodio. E' successo stasera. Sono allergico alla tachipirina, alla richiesta di un antidolorifico, mi viene risposto che non possono dare altro se non la trachipirina. Devono vergognarsi.
Sono in cella con Domenico che vi saluta tanto (ricambiamo con forza, auguri da noi tutte e tutti), ora vi lascio con un abbraccio al compagno Valerio, a voi, Vincenzo.

10 settembre 2011

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Cari compagni e compagne di Ampi Orizzonti, […] vi aspettavamo alle 5 del pomeriggio: il ritardo non ha affievolito la nostra speranza! Da tempo sapevamo che dovevate tornare; la domanda che martellava la nostra esistenza qui dentro era: verranno?
Il vostro primo presidio/concerto aveva lasciato in noi energia positiva, aveva dato la prova che non siamo soli a lottare, ma soprattutto aveva risvegliato in noi la voglia di lottare soppressa e annientata dall'arroganza e dalla prepotenza dei nostri aguzzini, nonché da un sistema carcerario che a mio parere tende solo alla distruzione.
Alle nostre finestre, la vostra visita ha avuto libero accesso perciò, tranne qualche striscione illeggibile, non mi dilungherò a raccontare. (Degli striscioni) invece appesi ai cancelli (delle celle) non avete visto nulla, perciò mi soffermo, anche se c'è poco da raccontarvi.
Stranamente le guardie non ci hanno detto niente di niente. E' passato solo l'ispettore del reparto per farci togliere le bandiere degli Stati di appartenenza, perché, a suo dire, fanno scattare l'allarme in sorveglianza! Boh, gli striscioni non fanno scattare l'allarme, le bandiere sì! Ma sono proprio guardie, non sanno nemmeno mentire!
O forse perché la mia è una bandiera albanese e quella di un mio vicino di cella è del Senegal? Mi sa che l'ispettore ha voluto mascherare una chiara espressione di razzismo, senza successo. Forse, non lo so, fatto stà che la mia bandiera ha sventolato a dispetto delle merde che volevano il contrario!
Come avete visto e sentito pure voi, abbiamo fatto un gran baccano, bruciato, e, stranamente, le guardie non ci hanno detto niente; ci hanno solo guardato! Non sarà che domani ci arriva la sorpresa? Anche perché, nonostante qui dentro si cerchi di "convivere" con loro, sono così infami che Giuda in confronto era un signore.
Voi, invece, nonostante foste meno numerosi avete portato la stessa carica di adrenalina, avete portato la stessa gioia e lo stesso calore umano. Con la musica e con le parole ci avete tenuti carichi tutto il tempo trascorso, nonostante divisi da quel muro maledetto.
La telefonata in diretta dai domiciliari ha fatto riflettere tanti di noi; ed è stata significativa anche per me che mi ero quasi illuso, non trovando, giustamente, questo governo, un'alternativa a amnistia e indulto, per un intervento necessario all'ormai in tollerabile sovraffollamento che investe i lager italiani e il carcere di Prato.
Di fatto, tra noi abbiamo parlato e riparleremo per dare un'efficiente risposta a un eventuale risposta negativa alla domanda di amnistia e indulto avanzata e sostenuta da Pannella. E a questa speriamo si aggiungano altre carceri d'Italia perché, nonostante il motivo per cui siamo qui, abbiamo il diritto a scontare la nostra pena con dignità.
Per quanto riguarda il presidio/concerto, la musica e il trattenimento, è stato graditissimo. Molti di noi sono rimasti sorpresi dai fuochi d'artificio. E' stata una gradita sorpresa.
Qui chiudo la mia lettera, ringraziandovi di cuore assieme a tutta la 5a sezione. Questa volta lo dico io: ALLA PROSSIMA! Non importa in quanti siamo a lottare, l'importante è lottare! Saluti per tutti coloro che lottano. A testa alta fino alla fine.

11settembre 2011
Mirgen Krepi

P.S. riporto le scritte su alcuni striscioni:
Libertà per i gladiatori NoTav; In culo allo stato; Stato killer; Stato assassino; Il leone è ferito, ma non è morto.

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Cari compagni, chi vi scrive è Toni cà maddalena (di Napoli) e ieri sera ho ascoltato la vostra musica, soprattutto le vostre parole scandite davanti a questa merda di carcere, dove mi hanno imprigionato con il loro sistema del cazzo coloro che detengono il potere.
Il vostro gesto ci ha dato una carica di energia a tutti, ma questa è solo una piccola goccia. Ci vorrebbero azioni più forti e decisive, ma la società non ancora pronta ad accettare l'idea che persone imprigionate possano tornare a vivere una vita normale.
Vi voglio chiedere se la prossima volta che ci fare visita, vi tratterete dall'altra parte del carcere, dove ci sono le sezioni pari. Vi garantisco che saremo molto più calorosi, nel senso letterale della parola. Ci conto.
Questa lettera non ve la manda un assassino, ma un ragazzo sfortunato di 22 anni a cui piaceva e piace fumarsi qualche canna in tranquillità; per questo mi hanno arrestato con l'accusa di "coltivazione illegale di canapa indiana", che non ho capito cosa aveva di indiano, visto che la terra, l'acqua e il sole erano di Napoli.
Un bacione a tutti, in particolare alle ragazze, a presto. Hasta la Victoria Sempre!

11 settembre 2011
Antonio Piedimonte

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Ciao ragazzi, mi chiamo Manu, sono di Parigi […] siete troppo forti a venire due volte a trovarci. E' come una bolla di ossigeno, per tutti noi.
Essendo di Parigi sono cresciuto a pane e hip-hop e mi ha fatto strippare sentire il track di Cut -Killer "La Haine", tanti ricordi per me.
Non vi conosco però vi capisco di brutto. Ho passato più di 10 anni nell'underground a organizzare free-party con i Kamikaze Sound System, una posse di stranieri; abbiamo pure fatto alcune feste memorabili a Milano, e siamo stati parcheggiati con il camion alla cascina di via Ripamonti un posto occupato per anni, però credo che lo hanno chiuso dopo un blitz (sì, purtroppo è proprio così).
Sono qui da 2 anni e mezzo per qualche spinello di troppo, cazzo di legge Fini-Giovanardi; spero di uscire prima della vostra prossima visita. Ho ancora un anno da tirare e penso di andare ai domiciliari a Firenze - e se non esco, sarò contento di risentirvi. Portateci qualche birra la prossima volta…ah…ah…ah…

14 settembre 2011
Manu Del Campo

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Carissimi/e compagni/e di Ampi Orizzonti, ho seguito su radio radicale le comunicazioni e il conseguente dibattito sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia (il giorno 21 settembre) e vorrei replicare, consapevole che non mi leggeranno, al ministro Nitto Palma e al senatore Vallardi della Lega Nord.
Dal presidio siamo stati informati che Nitto Palma è un burattino di Berlusconi, messo su quella poltrona affinché non venga arrestato il suo boss; e quindi nulla di buono c'è da aspettarsi da questo governo e dal suo sistema.
Tanti interventi dei senatori sono sembrati pro-indulto/amnistia; gli interventi di questa gente, facente parte di una classe politica (a mio parere da rottamare) sembravano avere la forma della redenzione davanti al creatore, più che essere segni o simboli di assunzione di responsabilità da parte di una classe rappresentativa, che della civiltà e della giustizia ne sa pronunciare solo i nomi. Parole, discussioni e soprattutto riflessioni, la cui unica funzione è di rendere ridicoli gli eletti dal popolo sovrano. Eppure lo sanno, ma tendono a destreggiarsi, sempre. L'intervento che mi ha colpito di più è stato quello del senatore Vallardi, il quale invita a far lavorare i prigionieri, facendo loro pulire i boschi, o tagliare l'erba lungo i fossi o ai bordi delle strade, anche perché al suo governo costiamo 10 milioni di euro al giorno. Siamo, secondo lui, una risorsa di mano d'opera da sfruttare, pure negli ultimi tre anni - che potremmo giustamente e per diritto scontare in affidamento ai servizi sociali con un lavoro dignitoso e con un altrettanto dignitoso stipendio.
Insomma, rispuntano le idee (peraltro già attuate nell'ambito carcerario, ma come lavoro di volontariato, per poter beneficiare di qualche permesso) di un capitalismo che i prigionieri non si limita a ucciderli e a succhiar loro il sangue, ma vuole anche il loro midollo osseo. Senza vergogna e senza pensarci sopra, quel senatore ha detto: "chi sbaglia deve scontare ed espiare interamente la pena per risarcire la comunità danneggiata dal proprio comportamento delittuoso."
E i millecinquecento prigionieri uccisi dallo stato negli ultimi dieci anni? Chi è che risarcisce le loro famiglie? Ma, soprattutto, lo stato espierà interamente la pena per la lugubre contabilità che il DAP tiene nei suoi lager.
Vallardi è come un senatore-Caino che si veste di onore e gloria davanti ai suoi simili e che durante il mese di agosto li invita a visitare i cimiteri delle vittime di reato [il senatore probabilmente si riferiva agli "stati socialisti" di un tempo, ndr], anziché le prigioni italiane.
E i millecinquecento Abele uccisi dallo stato, chi è chi li visita? Ma questo stato non ha mai fatto l'esame di coscienza nei confronti delle vittime di reato in Italia? Chi ha condotto Caino a uccidere Abele?
Pensandoci bene forse è colpa di questo sistema messo in piedi da uno stato senza scrupoli, che del potere fa uno strumento per arricchirsi, anziché servire il suo sovrano elettore. Un sistema basato su sfruttamento, repressione e ingiustizie, non deve mai attendersi dai suoi lager uomini adeguatamente recuperati, ma bensì uomini che, durante le ingiustizie e le prevaricazioni subite passivamente non hanno fatto altro che affilare il coltello del loro riscatto!
Un saluto a voi e ai prigionieri che lottano. A testa alta fino alla fine!

23 settembre 2011
Mirgen Krepi, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato


Da una lettera dal carcere di Velletri (roma)
Cari compagni/e, […] Qui è la solita rottura, non si lavora, non si frequentano scuole, ogni tanto arriva la Digos a perquisire la cella e tutto fila nella più assoluta monotonia.
Grazie all'opuscolo mi è permesso di conoscere le altre realtà carcerarie, corrispondere con alcuni prigionieri e così tenere vivo quel po' di umano che il carcere ancora non ha annientato.
Anche se in ritardo, esprimo la mia gioia per i compagni e le compagne del Fuoriluogo, che hanno ottenuto gli arresti domiciliari. Provo invece profonda tristezza nel leggere della morte del compagno (Luigi Fallico, trovato morto nel carcere di Viterbo) avvenuta il 23 maggio 2011, dopo due anni di carcerazione, senza che fosse oltretutto intervenuta una sentenza.
Il mio pensiero va ancora a lui, anche se non lo conoscevo personalmente e ai suoi familiari che si sono visti strappare un proprio caro dal carcere.
Anche a Velletri, circa un mese fa è morto un detenuto, non ha sopportato il caldo infernale e non ce l'ha fatta. Tutto è stato fatto passare in silenzio. Si è saputo pochissimo, è stato ricordato a Messa, nient'altro di più.
Ecco, queste sono le profonde tristezze che genera il carcere, in barba a una presunta giustizia ed agendo nel pieno dell'illegalità. Colgo l'occasione per solidarizzare con i detenuti e le detenute… solidarizzo inoltre con il Movimento NoTav, ultimamente preso di mira dal "nostro" ministro Maroni.
Un abbraccio fraterno a tutti/e.

Andrea Orlando, v. Campo Leone, 97 - 00049 Velletri (Roma)

***
Aggiornamenti da bologna
Cogliamo llo spunto di quest’ultima lettera per dare un aggiornamento da Bologna.
Ricordiamo che il 6 aprile 2011 un'operazione di polizia aveva portato ad una sessantina di perquisizioni in tutta Italia, con accuse fumose e inconsistenti.
Con l'accusa di “associazione a delinquere” erano finiti in carcere in cinque, due compagne e tre compagni, accusati di aver promosso, organizzato e diretto un'organizzazione che si ritrovava al Fuoriluogo (i cui locali vennero e sono tuttora posti sotto sequestro) finalizzata al compimento di violenze, lesioni, danneggiamenti e manifestazioni non autorizzate. A maggio c'era stato un altro arresto con le stesse accuse. A metà luglio però le compagne ed i compagni erano stati messi ai domiciliari con pesanti restrizioni (divieti d'incontro, divieto di utilizzare telefoni, divieto di corrispondenza ecc.). Ora finalmente sono tutti liberi per scadenza dei termini anche se con obblighi di firma o di dimora. Resta ancora in carcere la compagna arrestata a maggio. A tutte e tutti loro un caro abbraccio e tutta la nostra solidarietà!


Lettera aperta alla città di Como sul carcere Bassone
Buongiorno a tutti e a tutte, siamo il Collettivo Dintorni Reattivi, un gruppo di ragazzi e ragazze di Como e provincia. Tra i vari ambiti di cui ci occupiamo ci interessiamo da circa due anni del carcere Bassone, in particolare delle condizioni di vita dei detenuti.
Stanchi dell'indifferenza nei confronti del carcere che regna in città, abbiamo deciso di impegnarci in prima persona per contrastare l'isolamento, cercando informazioni, intessendo relazioni con familiari e amici e creando contatti diretti con i detenuti.
Per riuscire in questo intento abbiamo iniziato ad andare al Bassone tutte le settimane, durante gli orari dei colloqui, per distribuire volantini e chiacchierare con i parenti in attesa di incontrare i propri cari. Grazie a ciò abbiamo ottenuto dei contatti a cui scrivere le cui testimonianze ci hanno spinto ad organizzare dei presidi di solidarietà fuori dalle mura, che ora organizziamo mensilmente.
Le informazioni ottenute sono molte e ci mostrano come le condizioni detentive siano al limite della violazione dei diritti fondamentali dell'uomo. I detenuti con cui riusciamo ad avere una corrispondenza ci raccontano che sono costretti a vivere stipati come sardine, che spesso manca l'acqua e in ogni caso non è sufficiente a garantire l'igiene personale quotidiana, che le pareti di docce e celle sono ricoperte di muffa e che il caldo torrido estivo e il gelo invernale mettono continuamente a rischio la salute dei detenuti, senza parlare dell'assistenza sanitaria che risulta spesso inefficace a causa della cronica carenza di personale e delle condizioni in cui versa la struttura carceraria. I medici, dipendenti dell'ospedale S. Anna, in servizio all'interno del carcere parlano di un ambulatorio dai muri scrostati, quindi totalmente anti-igienici, di visite ed interventi eseguiti con giacca e guanti, poiché il riscaldamento non consente una temperatura superiore ai 15 gradi, e la continua carenza di personale li obbliga a turni che compromettono il loro operato e a mansioni di non loro competenza.
Alle pessime condizioni di vita si aggiunge la quasi assenza di momenti e spazi aggregativi e di socialità, unita alla difficoltà nell'ottenere colloqui con il personale educativo e assistenza psicologica.
A tutto questo si aggiungono le restrizioni introdotte durante il periodo di direzione di Maria Grazia Bregoli, la quale ha dimezzato l'ora d'aria (da 2h a 1h) e ha imposto notevoli limitazioni riguardo l'ingresso di cibo nell'istituto. È infatti da oltre un anno che è permesso introdurre solo cibi sottovuoto e di produzione industriale, quindi non possono entrare cibi e pietanze cucinati in casa o prodotti artigianalmente, aggravando così ulteriormente il peso economico del denuto sulla propria famiglia. Questo evidentemente è un disumano espediente per garantire un guadagno per le casse del carcere dato che i detenuti sono costretti ad acquistare tutto ciò di cui hanno bisogno all'interno, con prezzi maggiorati rispetto all'esterno. Ora la signora Bregoli se n'è andata dal Bassone. Consapevoli che il suo è stato uno dei periodi peggiori della storia di questo carcere, ci auguriamo che la futura direzione ripari, perlomeno, ai danni commessi e che non speculi più sulla pelle dei detenuti e delle loro famiglie.
Come ben sapete il Bassone si trova fuori dalla città, scelta strategica volta a tenerlo lontano dai nostri occhi, per creare quell'isolamento che è fondamentale per l'esistenza e il funzionamento del sistema carcerario. I vari direttori di turno contano infatti sull'indifferenza della cittadinanza per continuare indisturbati a guadagnare sulla pelle dei detenuti e dei loro familiari.
Noi non ci stiamo! E vorremmo non dover fare l'amara scoperta di essere gli unici.
Questa lettera pertanto si rivolge, con serenità ma senza mezzi termini, a tutte quelle individualità, realtà, associazioni ecc che non vogliono più far finta di non vedere quello che accade a due passi da noi, nella penombra di quelle sbarre, e che non accettano la logica egoistica per la quale la vita dei detenuti non riguarda tutta la società nel senso più ampio del termine.
Il nostro messaggio è semplice: mobilitiamoci, incontriamoci, cerchiamo un punto di sintesi tra le diverse visioni della questione e tra le varie modalità di lotta. È un impegno ambizioso, lo sappiamo, ma vogliamo credere, in tutta onestà, di non essere i soli a sentire nostra questa grossa responsabilità. Con spirito di evasione salutiamo,

10 ottobre 2011
Collettivo Dintorni Reattivi
c.p. 86, 22077 Olgiate Comasco (co), dintornireattivi@autistici.org


Note su Amnistia e indulto
Con queste note vogliamo fare in modo di metterci tutte e tutti, dentro e fuori, nella condizione di sapere, di capire insieme, a che cosa ci si riferisce quando si parla di amnistia e di indulto; di riuscire così a costruire una comunicazione da cui può sorgere soprattutto la lotta comune per la liberazione generalizzata. Questo l'intento dichiarato.

Che cos'è l'amnistia?
L'amnistia è una causa di estinzione del reato e della pena, e consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire determinati reati. Si tratta di un provvedimento generale di clemenza, ispirato, almeno originariamente, a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale ma, a volte, in strumento di periodico sfoltimento delle cause pendenti e anche delle carceri.

Applicazione dell'amnistia nella legislazione italiana
L'amnistia in Italia è prevista dall'art. 79 della Costituzione, e cioè: "L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che concede l'amnistia o l'indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso l'amnistia e l'indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge".
E' normata dall'articolo 151 del Codice penale, ossia: "L'amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie. Nel concorso di più reati, l'amnistia si applica ai singoli reati per i quali è concessa. L'estinzione del reato per effetto dell'amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca la data diversa. L'amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi. L'amnistia non si applica ai recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell'articolo 99 Codice Penale, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente.
L'art.99 è quello della recidiva, dice: "Chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro, può essere sottoposto a un aumento fino ad un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato. La pena può essere aumentata fino ad un terzo:
1) se il nuovo reato è della stessa indole (c.p.101);
2) se il nuovo reato è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;
3) se il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l`esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannatosi sottrae volontariamente all`esecuzione della pena.
Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate nei numeri precedenti, l`aumento di pena può essere fino alla metà. Se il recidivo commette un altro reato, l`aumento della pena, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, può essere fino alla metà e, nei casi preveduti dai nn. l) e 2) del primo capoverso, può essere fino a due terzi; nel caso preveduto dal n. 3) dello stesso capoverso può essere da un terzo ai due terzi. In nessun caso l`aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo reato".
A partire dal 1992 l'amnistia viene disposta con legge dello Stato, votata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Precedentemente era prerogativa del presidente della repubblica. Le figure di reato interessate dall'amnistia vengono di regola individuate con riferimento al massimo della pena ma possono essere utilizzate altre modalità: possono essere previste preclusioni oggettive (p.e. rispetto ad alcuni "reati" - e allora sono "ostative" - nei confronti di chi "promuove associazioni con finalità di terrorismo"(art. 270), "promuove associazioni di stampo mafioso", chi recidivo infraquinquennale specifico, ecc.)

Amnistie concesse in Italia nell'ultimo mezzo secolo (anno - beneficiari)
1966: reati con pena reclusiva fino a 3 anni
1970: reati in ambito di manifestazioni, e puniti con pena fino a 5 anni
1978: reati con pena reclusiva fino a 3 anni, con eccezioni
1981: reati con pena reclusiva fino a 3 anni, con eccezioni
1990: reati con pena reclusiva fino a 4 anni, non finanziari. Rissa senza lesioni, truffa, violazione di domicilio, violenza a pubblico ufficiale.
A questo punto è già chiaro che dall'amnistia per sua natura sono esclusi determinati "reati" e determinati "delinquenti"; in breve, essa è parte del sistema della differenziazione, della premiazione su cui ruota tutto il sistema carcere. Che negli ultimi 55 anni di media non è mai stata superiore a 3 anni e mezzo.

Che cos'è l'indulto?
L'indulto consiste in un provvedimento generale che condona (condonare sta per "rimettere", "perdonare" e "liberazione" dalla pena in parte o anche totale; puzza di chiesa, di senso di colpa come un cesso scoperto) con il vincolo fissato in genere nella legge che lo mette in vigore, che a chi ne usufruisce, a differenza dell'amnistia, se entro i 5 anni successivi viene condannato ad una nuova pena superiore a 2 anni più 1 giorno, viene negato l'indulto; così dovrà scontare gli anni o mesi rimessigli dall'indulto più la nuova condanna.
L'indulto nell'ordinamento italiano è previsto dall'art. 174 del codice penale, che recita: "L'indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un'altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene accessorie salvo che il decreto disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna. Nel concorso di più reati, l'indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso dei reati. Si osservano, per l'indulto, le disposizioni contenute nei tre ultimi capoversi dell'articolo 151" [vedi sopra, lo stesso che si riferisce all'amnistia].
In senso proprio l'indulto è un provvedimento con il quale il Parlamento condona o commuta parte della pena per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge di indulto. La Costituzione richiede una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, per la sua approvazione. Per l'applicazione dell'indulto è competente il giudice dell'esecuzione, il quale procede secondo la procedura prevista anche per l'amnistia. L'indulto è un provvedimento di indulgenza a carattere generale e si differenzia dall'amnistia perché si limita a condonare in parte o in tutto la pena principale, che appunto non viene cancellata ma condonata, o commutata in altra specie di pena consentita dalla legge e pertanto non estingue (a differenza dell'amnistia) le pene accessorie (*), salvo che la legge di concessione non disponga diversamente e, a maggior ragione, lascia sussistere gli altri effetti penali della condanna.

[* Le "Pene accessorie" sono previste dall'art. 19 del cp, consistono: nell’interdizione dai pubblici uffici, nell’interdizione da una professione o da un’arte, nell’interdizione legale, nell’interdizione, ecc. ecc. interdicendo].

L'indulto del 2006
Il 29 luglio 2006 il Parlamento ha approvato con un'ampia maggioranza trasversale la legge 241/2006 che ha introdotto un provvedimento di indulto per i reati commessi fino al 2 maggio dello stesso anno. In particolare è stato concesso un indulto non superiore ai tre anni per le pene detentive e fino a 10.000 euro per le pene pecuniarie. Sono stati esclusi dal beneficio i reati in materia di "terrorismo" (compresa l'associazione eversiva), strage, banda armata, schiavitù, prostituzione minorile, pedo-pornografia, tratta di persone, violenza sessuale, sequestro di persona; riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, usura e quelli concernenti la mafia. La legge stabilisce anche che (diversamente dall'amnistia) l'indulto non si applica alle pene accessorie, come l'interdizione dai pubblici uffici. Il Consiglio superire della magistratura denunciò che il provvedimento di indulto, azzerando la pena senza estinguere il reato, rende comunque necessario il completamento dell'iter processuale, distogliendo le risorse degli uffici giudiziari da altri processi sui quali non di rado "gravano concreti rischi di prescrizione.

Che cos'è la grazia?
La grazia, a differenza dell'amnistia e dell'indulto, è un provvedimento di clemenza individuale, cioè beneficia soltanto un determinato condannato detenuto o internato, condonandogli, con o senza condizioni, la pena principale in tutto o in parte o sostituendola con altra meno grave. In Italia, la grazia viene concessa dal Presidente della Repubblica (art. 87 comma 11 della Costituzione) con atto controfirmato dal Ministro della Giustizia (art. 89 della Costituzione). Il procedimento relativo alla concessione della grazia è disciplinato dall'art. 681 del codice di procedura penale. Insomma, è un arnese per soluzioni individuali, non adatto alla lotta contro il carcere che invece richiede una crescente spinta, entusiasmo, determinazione collettiva.

Milano, settembre 2011


California: Terza settimana di sciopero della fame nelle carceri
Lo sciopero della fame nelle carceri di stato californiane, questo lunedì (10 ottobre), entra nella terza settimana. Il 26 settembre scorso i prigionieri hanno ripreso la protesta contro le intollerabili condizioni esistenti nelle carceri sovraffollate e per l'abolizione dell'isolamento illimitato.
La protesta è ripartita dopo che le direzioni delle carceri non hanno mantenuto le promesse fatte in luglio, strappate in una settimana di sciopero a cui si erano uniti a rotazione ben 12mila prigionieri. Adesso in 1.200 hanno ripreso la protesta.
L'organo responsabile delle carceri nello stato della California - California Department of Corrections and Rehabilitation (CDCR) - tenta di ridurre, attraverso trucchi, il numero ufficiale di coloro che prendono parte alla protesta; per esempio, ha cancellato dalla lista chi ha bevuto liquidi loro assolutamente necessari o chi ha assunto compresse mediche distribuite dall'infermeria. Già dopo i primi dodici giorni tanti prigionieri sono stati colpiti da momenti di debolezza, svenimento e forti perdite di peso. Un prigioniero nel carcere Pelican Bay è stato portato di urgenza in una clinica in seguito ad un attacco al cuore.
Nello stesso tempo aumentano le rappresaglie contro chi protesta. Gli avvocati, che nelle scorse settimane hanno potuto visitare i loro assistiti, informano che nonostante la temperatura calda, il riscaldamento rimane acceso, una condizione che accelera, unita allo sciopero della fame, la disidratazione dei prigionieri.
I trascinatori dello sciopero sono stati trasferiti nel braccio di isolamento di Pelican Bay. L' "esilio" serve anche per interrompere la comunicazione fra i prigionieri, oltre a creare difficoltà con i propri avvocati. Il CDCR accusa i difensori di "mettere in pericolo sicurezza e ordine negli istituti". L'avvocatessa Carol Strickman, una delle esiliate, ha dichiarato che crescono le rappresaglie e i tentativi di intimidazione: "Ora i prigionieri vengono apertamente minacciati e i loro contatti con gli avvocati tagliati". E' un modo violento di procedere contro gli scioperanti, per intimorirli. In una lettera al governatore Jerry Brown gli avvocati chiedono di mettere un freno all'eskalation e lanciano un appello: "Possiamo e dobbiamo mettere immediatamente fine alla tortura nelle carceri californiane". A questa richiesta si è unita anche Amnesty International.
La direzione del carcere di Corcoran, non perde occasione per mettere in mostra il proprio potere. I prigionieri raccontano che essa li perseguita con misure disciplinari sulla base dell'idea della "formazione di bande". Così, vengono loro cancellate le ore d'aria, viene aperta la corrispondenza con gli avvocati, vietata la lettura e consultazione dei codici, delle leggi (della letteratura giuridica), del cambio degli abiti; vengono minacciati con la sospensione del diritto di colloquio con gli avvocati e i famigliari. "Cercano di provocare in noi reazioni violente", scrive in una lettera un prigioniero.
I parenti e il movimento di solidarietà chiamano a tenere ogni giovedì, a partire da giovedì 13 ottobre, manifestazioni e veglie. Una prima grossa iniziativa ha avuto luogo già mercoledì scorso davanti al parlamento di Sacramento (capoluogo della California). Manuel La Fontaine del Comitato di Solidarietà in proposito sottolinea: "In gioco ci sono i diritti umani, da qui la repressione per tenere lontano tutte e tutti dalla lotta per affermare le richieste dei prigionieri." Sono arrivati a questa conclusione anche gli "studenti contro gli arresti in massa" alla Howard University di Washington D.C., i quali stabiliscono un rapporto fra gli arresti di massa compiuti dalla polizia nel corso delle iniziative attuate a New York dal movimento "Occupy Wall Street"(*) e lo sciopero della fame in California, con cui si dichiarano solidali.

Jürgen Heiser, 10 ottobre 2011
Da www.jungewelt.de/2011/10-10/031.php

(*) E' un movimento apparso nel cuore di New York e Washington, proprio per contrapporsi al pugno di persone ricche che lì abitano e trafficano, all'inizio di settembre 2011; è formato soprattutto da giovani lavoratori-lavoratrici, studentesse-studenti senza reddito e prospettive, immersi invece nella precarietà come altre figure sociali quali i "veterani", le centinaia di migliaia di persone disoccupate. Man mano che il movimento cresce, perché questo avviene, i sindaci di diverse città lo criminalizzano, tentano di cacciarlo dai parchi in cui si è attendato; hanno voluto arrestare centinaia di manifestanti. Anche in quei parchi come nelle carceri della California, comunque, la lotta va avanti.


QUAL È LA VERA VIOLENZA?
Riflessioni sulla mobilitazione del 15 ottobre
In questi mesi abbiamo visto mobilitarsi, contro le politiche di governi, UE, e banche centrali, tutti quei soggetti sociali ai quali si vuole fa pagare i costi della crisi: noi lavoratori (o studenti-lavoratori) prima dovremmo “pagare il debito”, e poi rinunciare a buona parte dei nostri diritti, e del nostro salario, per permettere a imprese, banche e speculatori di tornare a fare profitti.
Di fronte a questo scenario, l’opposizione è ampia e articolata, dalla Grecia, alla Spagna alla Gran Bretagna, sino a lambire l’altra costa dell’Atlantico. Questo perché ovunque, di fronte alla crisi, i governi agiscono tutti allo stesso modo: salvano le banche e buttano a mare i lavoratori.
La grande partecipazione al corteo di Roma ci dimostra quanto ampie siano le contraddizioni sociali e, soprattutto, quanta poca fiducia riponiamo nelle “ricette” dei governi. Loro, del resto, non sembrano prestare molto ascolto quando protestiamo secondo le “regole”. Contro la svendita dell’università pubblica per esempio, abbiamo fatto di tutto: dai cortei, alle lezioni in piazza, a manifestazioni di ogni genere. Ma solo quando la protesta ha assunto un carattere più “incisivo” (cortei selvaggi, blocchi, ecc.) la questione è uscita con forza. Nonostante tutto, poi, la riforma è comunque passata …
Qual è la violenza legittima?
Noi non accettiamo lezioni di “confronto democratico” dai signori che siedono in parlamento e che decidono sulle nostre teste. Nessuno di loro ci ha mai chiesto se ci va bene essere sfruttati, precari a vita, in un call center, in una cooperativa, o in qualsiasi altro posto di lavoro. Volutamente, mantengono decine di migliaia di migranti, per i quali non è possibile ottenere un permesso di soggiorno, in una condizione di totale ricattabilità. Destinano poi milioni di euro per interventi militari che implicano immani sofferenze per le popolazioni che li subiscono. Tagliano le risorse per scuole e università, mentre investono miliardi nelle grandi opere che devastano il territorio (come la TAV).
Questa è la democrazia. Non solo abbiamo una cricca di governanti corrotti che vivono sulle nostre spalle; ora, distruggono perfino il nostro futuro. E’ questa la legalità che difendono. E si indignano pure di fronte alla legittima e concreta protesta di coloro che, nei loro piani, devono soltanto tacere.
Lunedì mattina, dopo il corteo, sono partite in varie città decine di perquisizioni, giustificate dall’articolo 41 Tulps (testo unico leggi di pubblica sicurezza; un arnese recuperato direttamente dal ventennio fascista). Suddetto articolo permette la perquisizione da parte delle forze di polizia “che abbiano avuto notizia, anche indiziaria, di armi, munizioni o materiali esplodenti in qualsiasi luogo pubblico o privato”. Un modo per “piegare” le leggi che loro stessi scrivono qualora non convenga osservare. Non ci sorprende un tale evento, al contrario lo vediamo come un disperato tentativo di intimidire le migliaia di persone che hanno occupato piazza San Giovanni ed estraniarle dalle centinaia di migliaia che hanno riempito Roma. Il solito trucco del “divide et impera” dal tempo dei romani alle democrazie odierne resta sempre attuale. Vorrebbero farci credere che si trattò di provocatori o di delinquenti. Ma come scrive una compagna, la quale citiamo volentieri, “vorrei chiedervi l’umiltà di comprendere che più di 10.000 persone oggi hanno caricato e controcaricato la polizia, la finanza e i carabinieri… e lo hanno fatto compatti, spalla a spalla, metro per metro. Come si fa tra compagni, non tra guardie o aspiranti tali”.
Continuiamo la lotta contro l’aziendalizzazione dell’università e la precarietà sui luoghi di lavoro, in totale solidarietà con gli studenti e i lavoratori che ovunque nel mondo si oppongono alle politiche neoliberiste del governo di turno.
La vera violenza è precarietà, guerra e sfruttamento. Libertà per tutti gli arrestati!

19 ottobre 2011
Assemblea Studenti Scienze Politiche
scienzepolitichemilano@inventati.org


Perquisizioni a Padova
Mercoledì 28 settembre, alle 6 del mattino, polizia e digos hanno perquisito le case di quattro compagni del Collettivo Politico Gramigna e la sede dell’Associazione Culturale Nicola Pasian, sequestrando computer, vestiti, volantini e vari oggetti. I compagni sono stati poi condotti in questura per foto segnaletiche ed impronte. L’operazione era dovuta, come si legge nel decreto di perquisizione, a presunte minacce nei confronti del sindaco di Padova Flavio Zanonato attraverso l’affissione di un manifesto dove “il Tribunale Popolare Antifascista di Padova” condannava il sindaco a “lavorare per anni 20 in fonderia”.
Gli indizi a carico del sindaco erano fondati: concessione di spazi pubblici al partito neofascista Casapound e alla Lega nord, militarizzazione della città, emarginazione degli immigrati, collusione con la speculazione edilizia cittadina, appoggio alla guerra imperialista in Libia e molti altri capi d’accusa!
Queste pretestuose perquisizioni colpiscono una realtà di compagni che ha sempre denunciato l’asservimento della giunta padovana e del partito che rappresenta agli interessi della classe padronale nell’abbandono degli spazi pubblici, nella politica del cemento con le imprese amiche e nella gestione clientelare delle case popolari. Non a caso quest’attacco è rivolto anche all’attività politica svolta dall’Associazione Culturale Nicola Pasian nel quartiere dov’è presente e agli abitanti con cui stanno rendendo viva una zona popolare di Padova, da anni abbandonata al degrado.
Crediamo che quanto avvenuto sia sintomatico della fase che stiamo vivendo, periodo in cui ogni situazione di lotta autorganizzata che critica la putrefazione di questa classe dirigente e il loro sistema di produzione, e che può rappresentare un’alternativa e un punto di riferimento per i lavoratori e i proletari, va colpita duramente. Ne sono un esempio gli operai denunciati a Roma e quelli manganellati nelle altre città così come gli attivisti NO TAV arrestati.
Per i padroni come Zanonato lavorare in fonderia per 20 anni è un male ingiusto mentre per i proletari condannati dal capitalismo si chiama democrazia, la stessa che condanna i popoli a morire sotto le bombe della guerra imperialista in Iraq, Afghanistan e Libia.
Pensiamo che tutto ciò si sia verificato prima della manifestazione del 15 ottobre per criminalizzare e isolare i compagni. Crediamo sia importante partecipare per rilanciare la lotta e dare un forte segnale a questa classe dirigente che non ha più niente da dare e a questo sistema corrotto fondato sulla barbarie.
SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI PERQUISITI!!!
CONTRO LA REPRESSIONE NON SI TACE, NESSUNA GIUSTIZIA NESSUNA PACE!!!

29 settembre 2011
Collettivo Politico Gramigna


Comunicati dai processi in Euskal Herria
Di seguito due comunicati da Euskal Herria sugli attuali processi contro divers* attivist* basch*.

Comunicato dei ragazzi in attesa di processo a Iruñerria
Qualche giorno fa l'avvocato ci ha comunicato che il processo che l'Udienza Nazionale voleva fare il 4, 5, 6, 17, 18 e 19 ottobre contro gli 11 giovani di Iruñerria è stato posticipato. Alla luce di questa novità, vogliamo sottolineare due cose:
- Da un lato, questo atteggiamento del tribunale ci fa incazzare, dato che ci usa come fantocci, come fa del resto con tutti i baschi. Con il suo potere violento, un giorno qualsiasi possono prendere, incomunicare, torturare, incarcerare e giudicare qualunque cittadino per il suo impegno politico. Ieri eri convocato, oggi ti posticipano, domani ti condannano... Noi cittadini non lo possiamo accettare. Siamo lavoratori, non abbiamo stipendi pubblici per poter essere disponibili qualunque giorno; nel caso non si siano accorti ci tocca guadagnarci da mangiare!
Adesso hanno deciso che non era il momento politico appropriato per questo processo politico. Ci lasciano in attesa per poter utilizzare il nostro processo quando ne avranno bisogno. Bisogna inoltre aggiungere che hanno sospeso il processo perchè si sono resi conto che si devono analizzare le denunce di torture o che non si possono fare processi politici, secondo la costituzione di questa falsa "democrazia". No! Che sia chiaro al tribunale franquista (Audiencia Nacional): ci avrete sotto cauzione, agli arresti domiciliari o in carcere, ma non ci avrete mai fermi, non smetteremo mai di lottare!
- Dall'altro lato, da parte di tutti i processati, la nostra più forte gratitudine di cuore, a chi da Iruñerria, Nafarroa, Euskal Herria e da tutte le parti del mondo ci ha fatto arrivare la propria solidarietà. Questo è l'esempio, il popolo lavoratore ha mostrato che è pronto e che sa percorrere il suo cammino. È chiaro che l'attacco a uno è l'attacco a tutti; abbiamo imparato che la lotta contro un processo, così come la lotta di tutto un popolo e le sue rivendicazioni sono presenti in tutti i paesi, a San Fermin, nella ribiera di Nafarroa, nella Sakana, nelle parti di Estella, Baztan... Grazie mille anche a chi anche da più lontano ci ha fatto arrivare la solidarietà, per unirsi a noi nella lotta, facendo diventare ancora più potente la nostra rivendicazione.
E allora animo! Forza! Per continuare strada facendo! Fermiamo i processi politici! Gioventù basca libera e legale ora! L'1 ottobre, tutti a Iruñea!

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Comunicato dei portavoce della sinistra abertzale
Condannati a 10 anni di carcere (processo Bateragune) per cercare una via d'uscita al conflitto basco che dura ormai da più di 50 anni nel cuore d'Europa.
Innanzitutto vogliamo trasmettere la nostra gratitudine più forte a tutti quelli che ci hanno fatto arrivare la loro solidarietà e appoggio, oggi e in queste ultime settimane. Vogliamo condividere quella solidarietà sia con i prigionieri politici baschi, sia con tutti i rivoluzionari che in altre parti del mondo sono criminalizzati per il loro impegno militante.
Siamo stati incarcerati due anni fa e adesso ci hanno condannato al carcere con delle grosse pene… Questo dimostra una cosa: che la strategia politica messa in moto due anni fa non si è fermata. L'obiettivo di queste operazioni di polizia è che Euskal Herria non conosca la pace e la democrazia. Con le detenzioni di due anni fa cercavano d'impedire che il cambio di strategia nella sinistra abertzale si facesse in maniera coesa e ordinata. Oggi, con questa dura sentenza, perseguono solo un obiettivo: cercare d'impedire che nelle prossime settimane e mesi facciamo altri passi che siano coerenti con la nuova strategia adottata che garantiscano il nuovo scenario politico in Euskal Herria, in forma irreversibile e definitiva. Non sono ci riusciti la prima volta e non permetteremo che ci riescano ora.
Abbiamo avuto occasione di trasmettervi, dalle celle della Udienza Nazionale, che avremmo desiderato offrire un ramo di ulivo al tribunale che ci ha giudicato e condannato; non ci è stato permesso; questo non è altro che una metafora altamente significativa dell'obiettivo che perseguono: far cadere questo ramo d'ulivo, recuperare così scenari di scontro armato, che offrano nuovamente loro il pretesto per nascondere la loro assoluta debolezza politica e il loro carattere autoritario e reazionario che non offre al Popolo Basco altra alternativa che non sia la crisi economica, la negazione dei suoi diritti e la repressione più crudele.
Si!!!! Dobbiamo dirlo chiaro e forte: esistono ancora potenti forze installate nei diversi ambiti dello Stato che maneggiano un'agenda che ha come unico obiettivo impedire la pace in Euskal Herria. Ora vogliono farci credere che è la repressione che obbliga la sinistra abertzale a fare questi passi mentre noi vogliamo ribadire chiaro e forte che sono le iniziative unilaterali della sinistra abertzale che obbligano lo stato ad aumentare la repressione, aumentando il suo discredito di fronte al Popolo Basco e alla comunità internazionale, mostrando chiaramente il suo carattere autoritario e profondamente reazionario. Gli agenti che maneggiando questa agenda politica della menzogna e della provocazione cercano di impedire che si materializzino nuovi passi, di carattere definitivo e irreversibile, verso il processo democratico aperto in Euskal Herria. Non ci riusciranno!! Perche sì, signori Lopez, Ares, Rubalcaba… la Pace non viene né verrà in Euskal Herria dalla mano dell'inesistente Stato di Diritto spagnolo, ma dalla mano di chi rivendica il Diritto di essere Stato del Popolo Basco.
Per questo chiamiamo a raccolta tutti quelli che sono a favore del processo democratico basco: portate avanti la strada decisa e eseguite le decisioni e gli impegni - presi con il nostro popolo e con la comunità internazionale - perché la risposta migliore è portare avanti la strategia da noi scelta.
Ed infine vogliamo far arrivare i nostri auguri più sentiti al popolo Palestinese per la proposta presentata in modo unilaterale alle Nazione Unite; siamo con voi… Gora palestinar herria!
Inoltre, mentre scriviamo questa lettera, siamo passati dalla prigione di Burgos e ci sono venuti in mente diversi ricordi: il processo di Burgos (un bacio a Itziar, Arantza, Txutxo, Julen, un abbraccio grande Jokin!); anche Angel Otaegi, che fecero uscire da quel carcere il 27 settembre 1975 per fucilarlo (con Txiki e 3 compagni del FRAP)… quante lotte, quanta sofferenza… ma andiamo per la buona strada e non dimenticheremo mai quello che disse il bertsolari a Elgoibar: sorridere è un'altra forma di mostrare i denti!
Sorridete, vinceremo!!!!

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Comunicato sul processo "Bateragune"
Apprendiamo che il tribunale spagnolo ha acccettato l'impianto accusatorio del pubblico ministero comminando dagli 8 ai 10 anni di carcere ai compagni del processo "Bateragune" (Arnaldo Otegi, Rafa Diez, Arkaitz Rodríguez, Miren Zabaleta y Sonia Jacinto) accusati di appartenere a un "gruppo selezionato tra le fila della sinistra abertzale che in pieno accordo e seguendo le superiori direttive di ETA, nella quale di sono integrati, progettavano una strategia di accumulazione di forze".
Questa stessa motivazione della sentenza dà il segno di quanto la condanna sia basata su un impianto tutto politico, senza alcuna riscontro oggettivo, perchè naturalmente l'intenzione primaria è quella di colpire quell'avanzato processo di aggregazione popolare che oggi sta trovando così tanto consenso in tutto il paese basco.
Alla proposta determinata e di massa del popolo basco finalizzata ad una soluzione politica del conflitto, la risposta del governo spagnolo dell'"illuminato" Zapatero, è la chiusura di ogni confronto e l'accellerazione di una pratica repressiva e di criminalizzazione che colpisca l'intero movimento Basco.
In questa fase di crisi complessiva delle società capitaliste, la repressione del movimento basco in tutte le sue espressioni politiche sociali e sindacali assume ancora maggior peso perchè punta a demolire le riposte popolari alle misure neo liberiste per superare la crisi stessa. Ma la repressione non fermerà le lotte del popolo basco e la nostra solidarietà militante. Ci sentiamo vicini ad ogni compagno e compagna colpiti dalla repressione a loro mandiamo il nostro abbraccio solidale! Tanti popoli un'unica lotta...

21 settembre 2011
da www.ehlitalia.com
EHLINFO - Informazione su Paese Basco e solidarietà con Euskal Herria, dai comitati "Euskal Herriaren Lagunak / Amici e Amiche del Paese Basco".


paese basco: Sgomberato il C. S. Kukutza
Di seguito un resoconto dela vicenda, a cura del CAU, Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli.

Il 21 settembre a Bilbao è stato sgomberato il Kukutza, storico "Gaztetxeak" (centro sociale) della città basca. Alle 5 del mattino sono iniziate le operazioni dell'antisommossa che è riuscita ad entrare nell'edificio (guardate il video per vedere i mezzi blindati che hanno utilizzato) ed a spezzare la resistenza degli occupanti. Diversi arresti sono stati eseguiti una volta che, verso le 8, gli agenti della Ertzaintza sono riusciti ad arrivare sul tetto dell'edificio, dove si erano asserragliate alcune decine di militanti.
Il senso dell'operazione sembra ben riassunto in una delle frasi che uno degli agenti dell'Ertzaintza ha rivolto ad uno degli occupanti: "Etarras (appartenenti all'ETA), voi avete dichiarato la tregua, ma noi no!"
Nel frattempo centinaia di persone cominciavano ad affollare le strade intorno al Kukuzta, palesando un legame che il centro sociale è riuscito a creare con il quartiere nel corso di questi anni. 6 mila metri quadrati. Mensa a prezzi popolari, teatro, scuola di giocoleria, scuola di danza, biblioteca, sala computer, palestra, sala per le arrampicate e altre decine di attività che hanno riempito dal 1998 la vita di Errekalde, il quartiere in cui si trova l'ex fabbrica che per 13 anni ha visto l'esperienza del Kukutza. La polizia ha reagito con la violenza che sono soliti utilizzare in Euskal Herria: proiettili di gomma ad altezza d'uomo e cariche ripetute.
Ma il numero delle persone che hanno manifestato la propria solidarietà con il Kukutza è continuato ad aumentare: un corteo di migliaia di persone si è disteso per le strade della città per protestare contro l'azione delle forze repressive dello stato. E anch'esso è andato incontro alla brutalità della polizia.
Purtroppo la reazione ha vinto questa battaglia. E' iniziata l'opera di distruzione fisica del Kukutza. Ma una guerra non termina con una sola battaglia.

29 settembre 2011
EHLINFO - Informazione su Paese Basco e solidarietà con Euskal Herria, dai comitati "Euskal Herriaren Lagunak / Amici e Amiche del Paese Basco" - www.ehlitalia.com


milano: LA CASA E' DI CHI LA ABITA
Lunedì 10 Ottobre 2011 intorno alle 13, in via Borsi 10, dei funzionari dell'Aler e delle pattuglie di polizia intervengono con l'intento di sgomberare un appartamento occupato nei giorni precedenti. Dopo che il giovane occupante invalido ha esibito i documenti per essere identificato, si è ritrovato ammanettato e picchiato solo per aver rivendicato con l'occupazione il diritto ad avere una casa (che il più delle volte vengono lasciate chiuse invece di essere assegnate).
L'intervento degli abitanti del quartiere e del Comitato di Lotta Casa e Territorio ha impedito che l'agire violento di polizia e Aler continuasse a discapito dell'occupante.
Dopo l'arrivo dell'ambulanza, polizia Aler e carabinieri, che nel frattempo erano sopraggiunti, sono andati via e il giovane ha potuto recarsi al pronto soccorso avendo evidenti segni di percosse. Viene dimesso con 10 giorni di prognosi.
Ancora una volta ci troviamo davanti alla prepotenza dell'Aler che invece di migliorare la vivibilità dei quartieri popolari, lascia alloggi sfitti, lamierati, affitti sempre più alti, privatizza i servizi aumentandone le spese. Ancora una volta, l'Aler, con il pretesto della "legalità" agisce con prepotenza e violenza verso i più "deboli". Dov'è la "legalità" di chi consapevolmente lascia alloggi vuoti a favore di affaristi e palazzinari, privatizzando un bene comune come quello della casa?
Qual'è la "legalità" di chi in divisa entra in una casa ammanettando e picchiando chi la abita? La vostra "legalità" è violenza, quella violenza che nega diritti e libertà.
La nostra "legalità" significa continuare la lotta dal basso, attraverso la solidarietà attiva, per l'acquisizione di un diritto come quello della casa, con ogni mezzo necessario.
LA VOSTRA VIOLENZA NON FERMERA' LA LOTTA PER LA CASA
BASTA SFRATTI - CONTRO IL CARO AFFITTI - SANATORIA SUBITO
Domenica 23 ottobre 2011 - ore 17: assemblea per il diritto alla casa.
Tutti i martedì sportello legale casa ore 18 - 19:30

Comitato di lotta casa e territorio
Via Torricelli, 19 - Milano (cortile interno)


Cortemaggiore (pc): gli operai vincono una battaglia
Dopo cinque giorni di picchetto permanente alla Ceva di Cortemaggiore, la situazione si è finalmente sbloccata a favore degli operai che hanno rifiutato prima i turni di riposo forzati (e non retribuiti) e poi la Cassa Integrazione (di cui l'azienda si rifiutava di integrare la perdita salariale che ne sarebbe derivata). Questa mattina, a fronte di una settantina di operai in picchetto, sostenuti oltre che dal SI.Cobas anche dalle federazioni del Prc di Piacenza e Cremona, le forze dell'ordine di zona hanno mobilitato le loro forze (tutta la direzione di Digos e questura, oltre a 3 cellulari e un paio di macchine, fra polizia e carabinieri). A capeggiare la delegazione, il questore in persona che, con fare sufficientemente arrogante e minaccioso, intimava lo sgombero del picchetto, per lasciar passare i camion e gli operai (solo quelli decisi dall'azienda, ovviamente), in cambio di un incontro in provincia per le 12 di oggi stesso.
Dopo alcune convulse fasi, animate da assemblee, comizi, slogan, trattative e, soprattutto, provocazioni poliziesche (cancellazione del materiale fotografico registrato, perquisizioni, identificazioni) la determinazione dei lavoratori si è condensata in un paio di cordoni ed un sit-in di fronte al gazebo situato davanti ai cancelli, avanzando, momentaneamente, la proposta di una semplice "trasformazione del picchetto in un presidio, ma solo a condizione che tutti i lavoratori dello stabilimento entrino a lavorare".
E così alla fine è stato, facendo saltare per la seconda volta la logica dei turni di riposo, ovvero della riduzione dell'orario e del salario a fronte di un presunto calo di lavoro (sappiamo degli spostamenti di merce altrove) e di un'ancor più presunta crisi (nessuno della cordata LG-Ceva-CAL, ha presentato finora bilanci economici che la motivassero).
Si torna a lavorare, dunque. Ma solo per il momento, vale la pena aggiungere. Già! Perchè il fantomatico incontro delle 12 in realtà era una bufala. Ciò che c'è sul tappeto è solo un tentativo di intermediazione della provincia per arrivare ad un prossimo incontro fra le parti e cercare di giungere ad un accordo.
Nel frattempo è stato chiarito tramite altoparlante e davanti ai rappresentanti dello stato (in divisa) e dell'azienda che ogni prossimo tentativo di applicazione di turni di riposo (coperti o meno dalla CIG), produrranno nuovi blocchi il cui meccanismo è ormai rodato e pare funzionare.
D'altra parte è anche vero che le forze dell'ordine hanno mostrato, al pari dei padroni, un certo nervosismo di fronte ad una mobilitazione operaia che, a più riprese, li ha tenuti sotto scacco, mentre il SI.Cobas allarga progressivamente il suo consenso fra i lavoratori dello stabilimento. C'è quindi da aspettarsi nuove fiammate, tanto nell'immediato (se l'azienda non andrà incontro alle richieste degli operai e non si assumerà i costi del suo calo produttivo) tanto in un futuro prossimo (verso la data del 31/12/2011, quando scadranno gli appalti tra il CAL e Ceva e, allo stesso tempo, fra LG e Ceva). Fiammate che ci dovranno vedere ancor più attenti e concentrati nel far convergere tutte le forze disponibili del sindacato per dare pieno appoggio ad una lotta che, come sempre, non riguarda solo i suoi principali protagonisti.
Intanto gli operai possono in qualche modo assaporare il gusto di una vittoria (seppur parziale e momentanea) e rilanciare a tutti l'idea-forza che solo la lotta permette di avanzare nell'organizzazione indipendente e dal basso per potersi difendere meglio (oggi) e pensare ad una seria controffensiva (speriamo non troppo in là).
Segue il comunicato fatto dal S.I. Cobas.

***
Dopo il ritorno al lavoro alla Ceva di Cortemaggiore, la provincia di Piacenza, mediatrice di turno, ha convocato un tavolo di trattativa per mercoledì alle ore 14 presso l'ufficio per l'impiego di Piacenza. Come S.I. Cobas manteniamo ferme le nostre posizioni: l'unico accordo possibile non deve prevedere alcuna riduzione di salario per gli operai.
In altri termini, la loro crisi, vera o presunta che sia, non la paghiamo noi. Ripetiamo quindi che le soluzioni possibili sono solo tre:
1) Blocco degli straordinari e dell'utilizzo di manodopera esterna, garantendo ai 48 operai di Ceva le 8 ore giornaliere previste dal contratto.
2) Cassa integrazione in deroga, con turni di riposo che non superino una settimana al mese per ogni operaio e con l'integrazione del salario perduto a carico dell'azienda.
3) Trasferimento temporaneo, con turni a rotazione e spese di viaggio a carico dell’azienda, degli operai dichiarati in eccesso, presso altri stabilimenti gestiti dalla cordata Ceva-CAL.
Detto questo, ci pare doveroso aggiungere alcune considerazioni "a margine".
Per dovere di cronaca va ricordato che la Ceva Logistica si è servita per diversi anni della Morgan, il cui principale dirigente, Fumagalli, è finito in manette per truffa e concussione insieme all'allora dirigente dell'Ufficio Provinciale del Lavoro Filosa, e con il coinvolgimento del segretario CISL Salerno. Ci pare quindi vergognoso che, di fronte alla sacrosanta protesta degli operai, i Confederali non trovino di meglio che... schierarsi con l'azienda. Tra appelli alla ragionevolezza degli operai, che con gli scioperi metterebbero a rischio l'azienda, a chi arriva a invocare l'intervento delle forze dell'ordine per ripristinare la legalità, passando per chi si rifugia nella rivendicazione del regolamento per l'applicazione della CIG, siamo stati testimoni oculari della loro opera di costante crumiraggio culminata, mentre era in corso il picchetto, in una discussione con l'azienda sulle tabelle di produttività minime da imporre agli operai per fronteggiare le difficoltà dell'azienda.
Se non fossimo abituati a tali meschinità, se non infamie, ci sarebbe da gridare allo scandalo. Ma così non è; questo è il normale operato di chi è passato, armi e bagagli, con i padroni, abbandonando i lavoratori al loro destino di operai schiavizzati.
Per fortuna la maggioranza dei nuovi schiavi ha deciso, a Cortemaggiore come altrove, di alzare la testa, mettendo a nudo il re e la sua infame politica.
Sappiamo cioè che dietro la rigidità aziendale (disposta a rischiare il loro principale cliente come l'LG, pur di non cedere alla richiesta degli operai autorganizzati) c'è una questione prettamente politica: vogliono liquidare lo stabilimento perchè troppo sindacalizzato e quindi ostacolo per i piani di rilancio della cordata padronale che lo gestisce.
Gli operai di Cortemaggiore lo hanno ben capito e, con i fatti, hanno dimostrato di essere l'unica reale alternativa ad un sistema di sfruttamento e corruzione che dilaga e che sta portando l'intero paese (e non solo) sull'orlo del tracollo economico, per non parlare del livello morale.
Avranno un bel da fare costoro (e le istituzioni statali che li difendono) per cercare di dimostrare che gli operai sono criminali perchè bloccano dei camion e un'esigua minoranza di crumiri legati a doppio filo con le mafie padronali oppure schiacciati dal ricatto del permesso di soggiorno. La festa per loro è finita. Ma non andranno in pace.
Mercoledì la loro ultima via d'uscita per salvare un briciolo di dignità, se gliene è rimasto. Ma è più che lecito dubitarne.

26 settembre 2011
S.I. Cobas - Piacenza


ESSELUNGA biandrate (no): PER I LAVORATORI SALUTE CORTA!
Il profitto ad ogni costo non fa sconti a nessuno; nè ai consumatori che dagli scaffali dei supermercati restituiscono con gli interessi quanto guadagnano, in maggioranza lavoratori che nella crisi pagano con stipendi sempre più bassi e tasse sempre più alte, (l’ultima finanziaria sottrarrà dalle tasche dei lavoratori in Italia, di qualsiasi colore, circa 1.500 euro all’anno solo di iva in più), nè alle migliaia di lavoratori che nei depositi Esselunga, Bennet, Auchan e Ipercop, sgobbano di notte e di giorno per assicurare guadagni sempre in aumento ai Caprotti di tutta la grande distribuzione e alle decine di presidenti delle cooperative, soci onorari e responsabili di ogni tipo.
Un esercito di operai, inquadrato e controllato in modo militaresco e repressivo, che oltre a pagare la crisi con quanto avete appena letto, devono piegare le loro schiene a ritmi di lavoro sempre in aumento; non serve essere giovani o meno giovani, la quantità di colli da spostare ogni ora, in alcuni casi, non deve essere inferiore ai 300 all’ora, e aumentare secondo i bisogni dei consumatori.
Soldi e potere che si devono accumulare senza sosta da una parte; umiliazione, sottosalario e malattie professionali per le centinaia di lavoratori pachistani, indiani, filippini, ucraini, arabi ed italiani, gli unici posti di riguardo vengono riservati ai sindacalisti accomodanti, e ai lavoratori che si prestano ad esercitare il controllo politico sui propri compagni di classe.
Le lotte che i lavoratori di questo settore stanno conducendo non devono servire solo ad ottenere la paga contrattuale, ma a proporre delle rivendicazioni salariali oltre la concertazione sindacale sempre pronta a “comprendere” i bisogni aziendali e a sottoscrivere accordi che non intaccano i profitti dei padroni.
Anche la lotta iniziata nel deposito Esselunga di Biandrate (Novara) ha evidenziato le problematiche urgenti e salariali dei lavoratori che chiedono: il recupero dei soldi degli sgravi fiscali sugli straordinari, in modo da non farne beneficiare i padroni della cooperativa, come è successo per la Coopital e la Gamma Service ecc., che con la trasferta esente non hanno restituito ai lavoratori queste spettanze.
Una piattaforma rivendicativa aziendale che porti in tasca ai soci lavoratori di tutte le cooperative presenti, soldi veri che recuperino la perdita del potere d’acquisto, e gli aumenti non siano come quelli del CCNL figli della concertazione e del collaborazionismo sindacale.
Creare condizioni di lavoro che mettano al primo posto la sicurezza e la salute dei lavoratori, con ritmi di lavoro umani, rispetto delle persone, cancellando per sempre le umiliazioni a cui sono sottoposti tutti, il richiamo con il fischio come si fa con i cani, la cacciata dopo solo una ora dal posto di lavoro a secondo dell’umore del capo squadra o per reprimere chi si iscrive al sindacato di base, le offese le minacce per chi non piega la testa.
Decine di cooperative che si alternano e si integrano nei depositi del trasporto e della distribuzione merci, con retribuzioni e trattamenti diversi, per evitare che i lavoratori si uniscano e creino seri problemi alla società committente; l’importanza di mescolare gli uomini e i trattamenti per confondere tutti, l’ha ricordato Primo Levi in “Se Questo è un Uomo”, oggi nelle moderne democrazie e civiltà del benessere e della libertà si usano ancora sistemi e comportamenti che la storia ha condannato senza appello.
I padroni del consorzio Safra delle cooperative Asso e SGI, l’Apollo; l’Alma Group delle coop. Gamma Service, poi della Sintesi coop, della Rapida, della Saga, della Coopital, e della Long Service, tutte presenti nel deposito Esselunga di Biandrate, sono benefattori il 50% dei guadagni che realizzano i circa 1.500 lavoratori presenti, servono per comprare Mercedes di lusso e ville al mare o in montagna, oltre a profumati stipendi per decine di dirigenti che controllano tutte queste aziende.
Dobbiamo collegare la battaglia che conducono questi lavoratori alla classe operaia italana, oggi più che mai serve che i proletari di tutti i paesi si uniscano perche le forme di divisione stanno pasando attraverso il ritorno a mentalità razziste, nazionaliste e discriminatorie.
La lotta di questi lavoratori per la libertà e la dignità deve inorgoglire anche coloro che conoscono i supermercati solo quando vanno a fare la spesa, perchè i prodotti arrivano sugli scaffali a prezzo di sacrifici e dove migliaia di operai giovani e meno giovani si consumano con il rischio di non percepire neanche la pensione e di finire senza lavoro, una volta che le condizioni di salute, grazie alle malattie professionali, non consentono più il loro impiego con profitto.
Riprendere le iniziative di lotta è necessario per rivendicare il diritto alla salute e il diritto ad una retribuzione al passo coi tempi, lavorando per unire tutti i lavoratori del deposito di Biandrate, per creare un comitato di lotta di tutte le cooperative presenti in collegamento con i depositi sparsi nel Nord Italia, in modo da scongiurare appalti al ribasso, ed infine costringere i committenti ad assumere direttamente i lavoratori delle spedizioni e dei trasporti.
ABOLIAMO LA MODERNA SCHIAVITU', BASTA CON IL CAPORALATO !!

11 ottobre 2011
SLAI COBAS coop. ASSO, SGI, Coopital, Biandrate e Origgio


SCIOPERO AL CENTRO LOGISTICO DELLA ESSELUNGA DI PIOLTELLO (MI)
Venerdì 7 ottobre, presso i magazzini della ESSELUNGA di Pioltello, gli operai delle cooperative del consorzio SAFRA (Apollo, Asso e Servizi Generali Italia) hanno scioperato concentrandosi davanti alla porta del reparto drogheria. Sfidando il colosso Esselunga di padron Bernardo Caprotti, che tradizionalmente tende ad escludere qualsiasi relazione sindacale con i lavoratori impiegati nei suoi magazzini e supermercati dove vige un vero e proprio regime da caserma, gli operai sono pienamente consapevoli di aver intrapreso una dura battaglia.
Circa quindici anni fa, infatti, la lotta che si era sviluppata presso gli stessi magazzini da parte di circa 80 lavoratori, in maggioranza asiatici, fu stroncata dai licenziamenti. Nonostante queste difficoltà un nucleo di lavoratori oggi presenti nel sito ha deciso di aprire un nuovo percorso di lotta.
Lo sciopero, partito alle 17.00 e terminato alle 04.00 di oggi, ha coinvolto gli operai del turno pomeridiano e serale e ha prodotto un significativo ritardo nello stoccaggio e nella movimentazione delle merci. Gli oltre 120 operai immigrati scesi in sciopero contro i licenziamenti politici (una richiesta è il rientro di Worynwon Ezekil) e l'arbitrio dei caporali, per migliori condizioni di lavoro e salariali e per difendere l'agibilità sindacale che il consorzio e la committenza vorrebbero loro negare, hanno ricevuto il sostegno di una sessantina di operai di altre cooperative, giunti dalla Fiege Borruso di Brembio, dalla TNT di Piacenza, dalla PAM di Trezzano, dalla Ortofin di Trezzano e Liscate, dalla Ceva di Corte Maggiore, dalla Star di Agrate, dalla GLS di Cerro al Lambro e del coordinamento milanese di sostegno alle lotte delle cooperative.
Contrastato dall'arrivo massiccio di carabinieri e forze di polizia in assetto antisommossa (sempre pronti ad intervenire nei confronti degli operai in lotta e sordi e ciechi dinnanzi agli abusi padronali e all'infiltrazione e gestione mafiosa delle cooperative), lo sciopero con picchetto è stato il passaggio conseguente al rifiuto delle cooperative del consorzio di non riconoscere la sindacalizzazione degli operai ed aprire un tavolo per discutere le rivendicazioni contenute nella piattaforma sindacale.
Contrastare il sindacato significa non soltanto negare le rivendicazioni economiche ma la possibilità che i lavoratori della logistica alzino la testa. Come un delegato afferma in una dichiarazione rilasciata a IL GIORNO sabato 8 ottobre, «Noi con questo sciopero chiediamo innanzitutto la dignità del lavoratore in azienda. Noi qui siamo trattati come animali, sfruttati e anche ricattati. Veniamo lasciati a casa tre giorni su sei per riposo, ma senza giustificazioni. Lo fanno per tenerci buoni e per farci capire che non dobbiamo alzare troppo la testa, altrimenti veniamo licenziati».
Nell'assemblea che ha concluso lo sciopero che, secondo l'azienda ha causato un danno economico di «50mila euro per ogni mezz'ora di blocco» gli operai hanno deciso il mantenimento dello stato di agitazione, la preparazione di nuove azioni di lotta, sin quando non riceveranno dei segnali soddisfacenti dalla controparte, e di rispondere con scioperi immediati nel caso si verificassero rappresaglie anche contro un solo lavoratore.

Milano, 8 ottobre 2011
Sindacato Intercategoriale COBAS, Esselunga di Pioltello

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Lettera aperta ai lavoratori del consorzio SAFRA
- Basta con turni incontrollati e definiti a piacimento dei caporali!
- Basta coi carichi di lavoro insopportabili imposti col ricatto
- Basta con l’autoritarismo dei responsabili interni
- Pieno riconoscimento del sindacato dei lavoratori
Questi sono gli obiettivi su cui è stato organizzato lo sciopero del 7 ottobre ai magazzini Esselunga di Pioltello durato tutta la notte e che evidentemente ha inciso sul portafoglio dei padroni (Il quotidiano “il giorno” riporta che i danni ammontano a circa 60.000€ ogni mezz’ora) ma che soprattutto ha visto oltre 100 operai determinati nel volerla fare finita con il potere aziendale e di poter incidere sull’organizzazione del lavoro imposta da Caprotti & co.
Per questo il consorzio SAFRA ha reagito allo sciopero con una ritorsione (del tutto illegale!!) nel momento in cui ha deciso di sospendere senza motivazione né documenti scritti quegli operai che si erano presi la responsabilità di organizzare l’inizio della battaglia. Una reazione tanto infame quanto debole politicamente perché mette in luce tutta la loro paura di fronte alla lotta e all’organizzazione degli operai
L’obiettivo è evidente: intimorirci, eliminare alla radice le basi del sindacato, dividere i lavoratori e quindi liquidare ogni forma di opposizione al regime schiavistico di lavoro con cui Caprotti fanni i miliardi sulla pelle dei lavoratori.
Ma noi non ci faremo intimorire, né dividere, né tantomeno intendiamo rinunciare a portare avanti la battaglia appena cominciata per i nostri diritti e per migliorare le nostre condizioni di lavoro e di vita. Una battaglia che è nell’interesse di tutti i lavoratori, così come è interesse di tutti, unirsi per respingere le ritorsioni e imporre il rientro immediato degli operai sospesi senza motivo.
Caprotti, Longo, DeSiena… siete avvisati!
La lotta continuerà e si farà sentire ancora più forte!

11 ottobre 2011
I delegati e gli operai del S.I. Cobas


I droni di Marchionne
L'uscita della Fiat da Confindustria conferma fin nei dettagli la contraddizione tra interessi delle grandi multinazionali e imprese “nazionali”, per quanto export oriented.
Il punto su cui si è verificata la “rottura” non poteva essere più esplicito: per Marchionne l'art. 8 della manovra – che prevede la possibilità di derogare a contratti e leggi, quindi la totale e incontrattabile libertà di licenziare - è l'unica garanzia del comando assoluto sulla forza lavoro. E quindi è la condizione più volte posta - con i referendum di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco – per rimanere in Italia.
Per Confindustria - che ha ratificato l'accordo del 28 giugno con Cgil, Cisl e Uil – vanno bene entrambe le cose: l'art. 8 in casi estremi, la “concertazione” con gli unici sindacati riconosciuti a prescindere come titolari della rappresentanza in tutte le situazioni “gestibili”.
Si nota qui una preoccupazione che Fiat urla di non avere più: il problema della “coesione sociale”, della governabilità di un paese guidato sulla via dell'impoverimento a tappe forzate. Alla multinazionale basta uno sguardo dall'alto: se gli piacciono determinate regole sociali, bene, altrimenti si va altrove. Per la Marcegaglia e persino Bombassei, un qualche filo di mediazione molto oculata e da posizioni di forza è comunque bene tenerlo; le loro imprese come la stragrande maggioranza delle grandi, medie o piccole – stanno qui e non possono trasferirsi altrove. Condividono naturalmente l'esigenza di comprimere il costo del lavoro, abbattere il salario e azzerare le tutele legali dei lavoratori, ma hanno paura di sbagliare i passaggi e ritrovarsi con un paese inselvatichito, con una conflittualità anomala quanto a forme o prevedibilità.
Il “manifesto di Confindustria” è un concentrato di questi interessi, di questo tipo di imprese. Combacia perfettamente con l'impianto della “lettera della Bce”, permette a un Della Valle di sbraitare un “basta” degno più di Masaniello che non di un “principe del lusso”, aprendo la volata per la discesa in campo politico del suo socio in affari, Luca Cordero di Montezemolo.
Questa borghesia “nazionale per debolezza strutturale” non è “progressista”. Il suo programma coincide al millimetro con quello di Marchionne. Ma si distingue per le modalità di raggiungimento degli obiettivi. Dobbiamo dire grazie alla Marcegaglia per essere stata così sincera: ci vuole un “lubrificante” per far passare certe “riforme”. Qui i sindacati “complici” sono chiamati a dare il meglio di sé, in quanto a “scorrevolezza”. Tenendo buoni i lavoratori, buttando fumo negli occhi ai precari, tamponando alla meglio l'incazzatura dei pensionandi (e dei pensionati, se si dovesse arrivare a “misure greche” come la riduzione d'autorità degli assegni).
Alla Fiat americana tutto ciò non interessa. E' “politica”, e se ne ritrae annoiata. Quel che accade nella società non è affar suo. Il “modello Marchionne” ha introiettato il principio basilare della “guerra civile globale” innescata dalla crisi. E che fa di qualsiasi società un insieme informe senza struttura e corpi sociali intermedi. Governabile anche a distanza e dall'alto.
Basta avere droni a sufficienza.

04 ottobre 2011
da www.contropiano.org