raccolta documenti Brigate Rosse e NAP:
BRIGATE ROSSE, "MOLTI COMPAGNI O GRUPPI DELLA SINISTRA RIVOLUZIONARIA. ..", MILANO, APRILE 1971
Prima intervista a se stessi, settembre 1971
Un destino perfido, Brigate rosse, novembre 1971
Il voto non paga, prendiamo il fucile!, aprile 1972
BRIGATE ROSSE, "ALCUNE QUESTIONI PER LA DISCUSSIONE SULL'ORGANIZZAZIONE", SENZA LUOGO, ESTATE 1974.
BRIGATE ROSSE, "MOLTI COMPAGNI O GRUPPI DELLA SINISTRA RIVOLUZIONARIA. ..", MILANO, APRILE 1971
Molti
compagni o gruppi della sinistra rivoluzionaria, sono intervenuti su differenti
questioni sollevate dal nostro lavoro. Non sempre però ci è sembrato che il
riferimento al nostro reale discorso fosse sufficientemente preciso. Per
facilitarne quindi la comprensione e per evitare 'interpretazioni' più ispirate
all'immagine che il potere ha tentato di fornire di noi che alla nostra reale e
modesta statura, rispondiamo ad alcune domande dominanti.
1)
Le Brigate Rosse sono o non sono 'l'embrione del futuro esercito rivoluzionario?
Che
lo siamo noi non lo abbiamo mai affermato, anche perché nella nostra
prospettiva politica non riusciamo a distinguere con sufficiente chiarezza, come
forse capita ad altri, la formazione di un 'futuro esercito rivoluzionario'. Ci
sembra che la linea di tendenza porti piuttosto alla formazione di
un'organizzazione politica armata, che risolve in se i vecchi termini della
eterna questione, il partito e l'esercito rivoluzionario, il partito e la
guerriglia. Ma ancora non ci sembra che si possa dire che le Brigate Rosse siano
gli 'embrioni' del 'futuro partito guerriglia'.
2)
Le Brigate Rosse sono o non sono 'organismi militari'?
Non
sono 'organismi militari' ed è completamente estraneo al nostro lavoro quello
di 'dividere' gli 'organismi politici' dagli 'organismi militari'. Il principio
da altri formulato, che deve essere la politica a guidare il fucile, è da noi
inteso e praticato in un senso preciso e cioè sollecitando in ogni compagno ed
in ogni nucleo di compagni un approfondito chiarimento politico a guida,
fondamento e scelta del proprio comportamento rivoluzionario, all'occorrenza
anche 'militare'.
3)
Sono le Brigate Rosse un 'inizio burocratico e minoritario di una fase della
lotta di classe in cui l'offensiva avrebbe dovuto esprimersi anzitutto sul piano
della violenza clandestina'?
Che
la lotta rivoluzionaria assuma spesso la forma dell'azione diretta organizzata
clandestinamente è un fatto che non dipende tanto da noi quanto
dall'organizzazione repressiva dei padroni. Che l'offensiva proletaria si
esprima anche sul piano dell'azione diretta organizzata clandestinamente è una
ovvietà che non abbiamo inventato noi ma che chiunque segua un po' d'appresso
lo scontro di classe non fatica a scoprire. Noi pensiamo -questo sì -che
l'offensiva proletaria sia oggi estremamente ricca e che tra le molte forme
della sua espressione vi sia anche quella dell'azione diretta organizzata
clandestinamente. E di questo non ci scandalizziamo.
4)
"C'è stata una valutazione completamente errata dei rapporti di forza
esistenti tra proletariato e
borghesia, e cioè della fase di lotta che stiamo attraversando, che è sì è
in una fase di offensiva proletaria, ma non certo sul piano militare".
Diversa
è qui evidentemente la nostra sensibilità politica da quella di chi ci ha
mosso questo appunto. La fase che lo scontro tra le classi oggi attraversa, noi
riteniamo sia quella della conquista degli strumenti d'organizzazione e di
accumulazione delle forze rivoluzionarie capaci di reggere lo scontro e
preparare l'offensiva di fronte al progredire di un movimento di reazione
articolato sino al limite della controrivoluzione armata. E cioè del passaggio
necessario dalla risposta spontanea e di massa anche se violenta, all'attacco
organizzato, che sceglie i suoi tempi, calcola la sua intensità, decide il
terreno, impone il suo potere.
5)
Cosa sono dunque le Brigate Rosse?
Sono gruppi di proletari che hanno capito che per non farsi fregare bisogna agire con intelligenza, prudenza e segretezza, cioè in modo organizzato. Hanno capito che non serve a niente minacciare a parole e di tanto in tanto esplodere durante uno sciopero. Ma hanno capito anche che i padroni sono vulnerabili nelle loro persone, nelle loro case, nella loro organizzazione; che gruppi clandestini di proletari organizzati e collegati con la fabbrica, il rione, la scuola e le lotte, possono rendere la vita impossibile a questi signori.
1.Come
giudicate la fase attuale dello scontro di classe?
Ci
sembra che ci sia una concordanza di vedute nella sinistra sulla situazione
attuale.
Non
sfugge ne ai riformisti ne alle forze extraparlamentari il progetto di
riorganizzazione della borghesia su una prospettiva reazionaria e violentemente
antioperaia. E più in generale tutti riconoscono che è iniziato uno scontro
decisivo nel quale si giocano da una parte, cioè dalla parte della borghesia,
la possibilità di un nuovo equilibrio politico ed economico, dall’altra, cioè
da parte dei lavoratori, la prospettiva di un capovolgimento dei rapporti di
produzione. Ma a parte i riformisti la cui strategia si dimostra sempre più
suicida di fronte all’attacco reazionario, ciò che ci interessa mettere in
evidenza è lo stato di impreparazione in cui si trovano le forze rivoluzionarie
di fronte alle nuove scadenze di lotta. Alla sinistra rivoluzionaria è mancata
la consapevolezza che il ciclo iniziato nel ‘68 non poteva che portare agli
attuali livelli di scontro e non vi è stata quindi la predisposizione degli
strumenti idonei a farvi fronte. La nostra esperienza politica nasce da questa
esigenza.
2.Quali
cause stanno alla base della crisi attuale?
Oggi
ci troviamo davanti ad un capovolgimento delle prospettive politiche della
borghesia. Esso è dovuto al mancato congiungimento delle prospettive di
sviluppo del capitalismo e dei progetti politici dei partiti riformisti. La
borghesia infatti posta di fronte all’iniziativa della classe operaia che ha
rifiutato il riformismo come progetto di stabilizzazione sociale ponendo
all’ordine del giorno la fine dello sfruttamento, e alle oggettive
contraddizioni dell’imperialismo che impediscono la programmazione pacifica
dello sviluppo del capitalismo nei singoli paesi, ha dovuto riorganizzare a «
destra » l’intero apparato di potere.
3.In
quale direzione ritenete quindi che si svilupperà nei prossimi tempi la
situazione politica?
La
borghesia ha ormai una strada obbligata: ristabilire il controllo della
situazione mediante un’organizzazione sempre più dispotica del potere.Il
dispotismo crescente del capitale sul lavoro, la militarizzazione
progressiva dello stato e dello scontro di classe, l’intensificarsi
della repressione come fatto strategico sono due conseguenze obiettive ed
inesorabili.Nella situazione italiana assistiamo infatti alla formazione di un
blocco d’ordine reazionario quale alternativa al centrosinistra.
Esso prospera sotto le bandiere della destra nazionale e tende a
riassicurassi il controllo della situazione economica e sociale e cioè alla
repressione di ogni forma di lotta rivoluzionaria ed anticapitalista.
4.Pensate
dunque ad una riedizione del fascismo?
Il
problema non va posto in questi termini. È un dato di fatto incontestabile che
questo disegno repressivo per ora si estende e mira non tanto alla liquidazione
istituzionale dello stato « democratico » come ha fatto il fascismo, quanto
alla repressione più feroce del movimento rivoluzionario. In Francia il «
colpo di stato » di De Gaulle e l’attuale « fascismo gollista » vivono
sotto le apparenze della democrazia. Nei tempi brevi questo è certamente il
modello meno scomodo. Sarebbe però
ingenuo sperare in una stabilizzazione moderata della situazione economica e
sociale in presenza di un movimento rivoluzionario combattivo.
5.Quali
dunque le vostre scelte?
Avevamo
due strade oltre la via riformista che abbiamo rifiutato insieme alla sinistra
rivoluzionaria da diversi anni: ripetere l’esperienza storica del movimento
operaio secondo le versioni anarco-sindacaliste o terzinternazionaliste o
viceversa congiungersi all’esperienza rivoluzionaria metropolitana
dell’epoca attuale.
I
gruppi della sinistra extraparlamentare tutto sommato non sono usciti dalla
prima prospettiva poiché non hanno saputo sottoporre ad una analisi critica le
sconfitte del movimento rivoluzionario del primo dopoguerra. Essi hanno ripreso
nella sua essenza la teoria delle due fasi del processo rivoluzionario
(preparazione politica, agitazione, e propaganda prima, insurrezione armata poi)
ed oggi stanno ripercorrendo la prima fase mentre la borghesia già dispiega la
sua iniziativa armata. Ne fanno testo l’attacco padronale alle forme di lotta più
incisive, i processi politici e le condanne contro i militanti più combattivi,
il rinato terrorismo squadrista, le aggressioni fasciste ai picchetti operai e
quelle poliziesche alle piccole fabbriche, agli sfrattati ed agli studenti, i
rastrellamenti nei quartieri insubordinati, l’assunzione di provocatori sbirri
e fascisti nelle fabbriche ecc. Lo scontro armato è già iniziato e mira a
liquidare la capacità di resistenza della classe operaia. L’ora x
dell’insurrezione non arriverà. E quello che molti compagni tendono a
raffigurarsi come lo scontro decisivo tra proletariato e borghesia altro non è
che l’ultima e vittoriosa battaglia della borghesia. Come è stato nel 1922.
6.In
definitiva quale è il filone ideologico e storico al quale vi collegate?
I
nostri punti di riferimento sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale
cinese e l’esperienza in atto dei movimenti guerriglieri metropolitani; in una
parola la tradizione scientifica del movimento operaio e rivoluzionario
internazionale. Questo vuoi dire anche che non accettiamo in blocco gli schemi
che hanno guidato i partiti comunisti europei nella fase rivoluzionaria della
loro storia soprattutto per quanto riguarda la questione del rapporto tra
organizzazione politica e organizzazione militare.
7.Puoi
specificare meglio questo punto di vista?
I
compagni brasiliani sostengono che l’origine dell’involuzione
socialdemocratica dei partiti comunisti è da ricercare nell’incapacità della
loro organizzazione a far fronte ai livelli di scontro che la borghesia
progressivamente impone al movimento di classe. Non c’è quindi all’origine
di tutto il « tradimento » dei capi quanto l’inadeguatezza strutturale
dell’arma che essi utilizzano e cioè della loro organizzazione.
Di questo hanno tenuto conto le organizzazioni armate metropolitane le
quali sin dall’inizio si sono costituite per far fronte globalmente a tutti i
livelli dello scontro.
8.Il
problema per voi è quindi quello di iniziare la lotta armata?
La
lotta armata è già iniziata. Purtroppo in modo univoco, cioè è la borghesia
che colpisce. Il problema è dunque quello di creare lo strumento di classe
capace di affrontare allo stesso livello lo scontro.
Le Brigate rosse sono i primi sedimenti del processo di trasformazione
delle avanguardie politiche di classe in avanguardie politiche armate, i primi
passi armati nella direzione di questa costruzione.
9.Siete
per una concezione « fochista » dell’avanguardia armata?
No.
Il nostro punto di vista è che la lotta armata in Italia debba essere condotta
da un’organizzazione che sia diretta espressione del movimento di classe e per
questo stiamo lavorando all’organizzazione dei nuclei operai di fabbrica e di
quartiere nei poli industriali e metropolitani ove maggiormente si condensano
rivolta e sfruttamento.
10.Siete
dunque in una fase di preparazione?
Da
un punto di vista generale non possiamo essere che in questa fase in quanto la
strada che abbiamo scelto ha bisogno di un lungo periodo di accumulazione di
esperienze e di quadri. Però non è una fase staccata dalla lotta di classe ma
si realizza tutta all’interno di essa.
11.Questo
vuoi dire quindi che le Brigate rosse anche in questa fase sono impegnate nello
scontro?
Esiste
una tendenza nel movimento di classe non riconducibile ad alcuna delle
organizzazioni extraparlamentari operanti che esprime l’esigenza di nuove
forme di organizzazione della lotta rivoluzionaria: organizzazione
dell’autodifesa, prime forme di clandestinità, azioni dirette...
Le Brigate rosse hanno colto questa esigenza e si propongono di passare
da queste prime esperienze che costituiscono una fase tattica necessaria, alla
fase strategica della lotta armata.
12.Quali
sono le condizioni perché questo passaggio avvenga?
Nessun
movimento rivoluzionario armato che lotta per il potere può affrontare lo
scontro senza essere in grado di realizzare due condizioni fondamentali: 1)
misurarsi con il potere a tutti i livelli (liberare i detenuti politici,
eseguire condanne -\ morte contro i poliziotti assassini, espropriare i
capitalisti ecc.) e naturalmente dimostrare di saper sopravvivere a questi
livelli di scontro; 2) far nascere un potere alternativo nelle fabbriche e nei
quartieri popolari.
13.Che
intendete per potere proletario alternativo?
Intendiamo
dire che la rivoluzione non è solo un fatto tecnico-militare, e l’avanguardia
armata non è il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma il suo
punto di unificazione più alto, la sua richiesta di potere.
14.Su
quali direttrici intendete muovervi in questa fase?
Nei
mesi passati la nostra preoccupazione fondamentale è stata quella di radicare
nel movimento di classe un discorso strategico. Oggi riteniamo che sia decisivo
lavorare alla sua organizzazione. Si tratta cioè di radicare le prime forme di
organizzazione armata nella lotta quotidiana che nelle fabbriche, nei rioni,
nelle scuole mira a spezzare l’offensiva tattica della borghesia. E ciò
combattendo il terrorismo padronale nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi
senza separare la lotta alla organizzazione capitalistica del lavoro e della
vita sociale dalla lotta all’organizzazione capitalistica del potere;
affrontando lo squadrismo fascista e colpendo con durezza adeguata nelle persone
e nelle cose i suoi organizzatori politici e militari; non concedendo impunità
agli sbirri, alle spie e ai magistrati che attaccano il movimento di classe nei
suoi interessi e nei suoi militanti.
Da
un punto di vista immediato questa azione deve consentirci di mantenere alti
livelli di mobilitazione popolare impedendo l’affermarsi di correnti
pessimistiche e liquidatorie. E più in generale questo scontro non si concluderà
con un ritorno alla situazione precedente ma costituirà la premessa per lo
scontro strategico: per la lotta armata per il potere.
15.Ma
allora le Brigate rosse sono organismi di transizione?
No,
perché la lotta armata non può essere affrontata con organismi intermedi come
potrebbero essere i comitati di base, i circoli operai-studenti o le stesse
organizzazioni politiche extraparlamentari. Essa necessita sin dall’inizio
dell’organizzazione strategica del proletariato.
16.Intendete
dire il partito?
Esatto.
Le Br sono i primi punti di aggregazione per la formazione del Partito Armato
del Proletariato. In questo sta il nostro collegamento profondo con la
tradizione rivoluzionaria e comunista del movimento operaio.
17.Che
posizione avete nei confronti dei gruppi extraparlamentari?
Non
ci interessa sviluppare una sterile polemica ideologica. Il nostro atteggiamento
nei loro confronti è innanzitutto determinato dalla posizione sulla lotta
armata. In realtà nonostante le definizioni rivoluzionarie che questi gruppi si
attribuiscono al loro interno prospera una forte corrente neopacifista con la
quale non abbiamo niente a che spartire e che riteniamo si costituirà al
momento opportuno in una forte opposizione all’organizzazione armata del
proletariato. Mentre invece, sicuramente un’altra parte dei militanti accetterà
questa prospettiva. Con essi il discorso è aperto. Certo questa non è
l’unica discriminante, rimangono questioni fondamentali relative ai tempi e
alla tattica da seguire oltre che la questione fondamentale della
proletarizzazione dell’organizzazione. Noi
non accettiamo la mistificazione che tende ad identificare le attuali
avanguardie per avanguardie di classe. Il problema della costruzione
dell’avanguardia politica ed armata del proletariato è tuttora aperto e non
può essere risolto battendo la strada dei facili trionfalismi di gruppo, ne con
progetti di aggregazione di forze non significative dal punto di vista di
classe.
18.Come
considerate le accuse che alcuni gruppi della sinistra extra-parlamentare hanno
mosso nei vostri confronti?
Dobbiamo
qui distinguere due tipi di accuse: l’una è in sostanza una critica al nostro
« avventurismo » e a proposito della quale abbiamo solo da dire che
avventurismo è affrontare lo scontro con la borghesia armata senza adeguato
strumento. E a questa verifica non potrà sfuggire neppure chi ci muove questa
critica con spirito militante.
L’altra
che è una calunnia con la quale si tende a presentarci come provocatori o
fascisti non ammette una risposta politica ma costituirà al momento opportuno
un fatto di cui dovranno rendere conto coloro che l’hanno formulata. Più in
generale al di là di queste accuse, noi crediamo che la sinistra subirà col
progredire dello scontro di classe un processo di polarizzazione in cui la
discriminante sarà inevitabilmente la posizione sulla lotta armata. In questo
processo verrà coinvolto anche il PCI. Per questo rifiutiamo ogni settarismo
ideologico, proprio degli intellettuali pseudo-rivoluzionari e riaffermiamo la
nostra posizione fortemente unitaria con tutti i compagni che sceglieranno la
via della lotta armata.
Quando
il 25 aprile del ‘45 i partigiani, i gappisti, i sappisti festeggiarono la «
vittoria dell’insurrezione », la « liberazione », non sapevano ancora quale
perfido destino li stava attendendo. Ciononostante,
quasi per istinto, i comunisti rivoluzionari non consegnarono le armi. Le
tennero a portata di mano ben sapendo che quelle erano il fondamento del loro
potere e rimasero pazientemente in attesa di un grido di rivoluzione che il
Partito Comunista si guardò bene dal dare.
Nel
‘48 con l’attentato a Togliatti, esplose la rabbia per non essere andati
fino in fondo tre anni prima. L’odio proletario contro i padroni e contro lo
stato rimbalzò di città in città, di piazza in piazza. Ancora una volta i
partigiani impugnarono le armi e rimasero in attesa di « istruzioni », di
indicazioni rivoluzionarie. E ancora una volta il loro partito raccomandò la
calma, li invitò a ritornare alle loro case, a ritornare nelle fabbriche dei
padroni.
Da
quel momento le idee di liberazione che avevano armato il braccio e il cuore
delle masse proletarie italiane si infransero, sempre più duramente, contro la
muraglia legalista, elettoralista e riformista che il Partito andava innalzando
fra l’autonomia e il potere. Il
disarmo fu totale. Disarmo politico. Disarmo militare. Questo era ciò che
volevano i borghesi che si trovavano al governo dello stato.
Seguirono anni tremendi: il post fascismo e la ricostruzione.
Mentre Valletta ritornava con l’aiuto delle « forze alleate » alla
digressione della Fiat, liquidava i Consigli di Gestione, licenziava centinaia
di avanguardie operaie e ne metteva nei « reparti confino » altre centinaia,
la polizia scelbiana picchiava nelle piazze e assassinava i contadini nel
meridione.
Con
salari di fame e sottoposti al terrorismo più brutale i proletari italiani
trangugiarono il fiele della « ricostruzione » dell’Italia dei padroni del
vapore.
Le
forze reazionarie intanto andavano ricostruendo la loro dittatura all’ombra
dei grandi padroni e con la protezione dello stato.
Fu così che Tambroni nel luglio ‘60 e De Lorenzo quattro anni dopo,
provarono a dare uno sbocco a quelle spinte autoritarie-fasciste che mai erano
state del tutto distrutte. Il gioco allora non riuscì, era troppo grezzo,
ancora prematuro.
Ci
vollero le possenti lotte operaie e studentesche del ‘68-‘69-‘70, per
portare a galla tutto il lerciume reazionario che si era accumulato, tra gli
anni ‘50 e gli anni ‘60, al fondo delle nostre istituzioni.
Furono queste lotte infatti, che riproponendo al proletariato italiano
nuovi e profondi contenuti di liberazione, costrinsero i padroni a stringessi in
una nuova unità, intorno ad un progetto di reazione, di riorganizzazione
anti-proletaria, repressiva e neofascista del potere.Con la strage del 12
dicembre questo lugubre disegno prese forma, acquistò peso e sul cadavere di 16
lavoratori iniziò la costruzione del nuovo stato: lo stato della violenza
antioperaia, della repressione e della crisi.
Ma
le bombe di piazza Fontana sortirono un esito imprevisto: invece di affossare il
movimento rimbombarono come campane a morto per l’intero regime degli ultimi
25 anni; invece di sbarrare la strada alla avanzata proletaria misero a nudo la
crisi di regime che lacerava il nostro paese.
Crisi
di regime, crisi strutturale, risultato tanto delle contraddizioni interne al
blocco imperialista quanto dell’incapacità dimostrata dalle classi dirigenti
a promuovere una politica economico-sociale di interesse popolare; tanto del
rifiuto opposto dalle avanguardie rivoluzionarie alle linee difensive e
legaliste proposte dalle organizzazioni riformiste, quanto del livello raggiunto
dall’autonomia operaia nelle grandi fabbriche e sui grandi temi della lotta
per il potere.
E
sono proprio i venti della crisi che ridanno fiato alle trombe (ed ai tromboni)
del fascismo. Infatti, è proprio in una situazione di diseguale sviluppo
economico, nell’aggravarsi degli squilibri tra nord e sud, nel tracollo della
piccola e media industria, nella disoccupazione crescente, nell’opposizione
livida e violenta degli agrari, degli industriali, degli speculatori allo
spettro delle riforme di struttura, nella crescita incontrollata dei prezzi,
nell’aumento delle tasse, nella ribellione di settori proletari sempre più
vasti alla politica criminale dei padroni, che trova alimento la ripresa
neofascista nel nostro paese. Ma il neofascismo, questo figlio e becchino del centrismo e
del centrosinistra è un male diffuso che non risparmia alcuna istituzione.
Non è solo la « repubblica di Sbarre », o il il Congresso del msi, la
campagna de « Lo Specchio » contro Mancini o le bombe di Catanzaro, il siluro
tattico contro Borghese o le manifestazioni della maggioranza silenziosa, il
neosquadrismo o il neocorporativismo. Non sono solo i 150 attentati terroristici o le 250
aggressioni avvenute a Milano in questi ultimi due anni.
Neofascismo
è anche, e soprattutto, l’uso antioperaio della crisi: la « normalizzazione
» della cassa integrazione per migliaia di lavoratori, il licenziamento di
massa a scopo intimidatorio nei confronti dell’intera classe operaia, la non
applicazione delle conquiste contrattuali, l’uso massivo dello spionaggio
politico nelle grandi aziende a scopo di controllo...
Neofascismo
e anche e soprattutto la volontà terroristica di considerevoli porzioni della
magistratura, e vogliamo dire di quei magistrati che « ammazzano con calma »
tenendo rinchiusi in qualche galera, nonostante la palese innocenza i Pietro
Valpreda, o che si trastullano coi processi politici contro i compagni dei
gruppi rivoluzionari e le avanguardie di lotta del movimento.
Neofascismo
sono i Guida, i Vittoria, i Calabresi, i Mucilli, i Panessa delle varie Questure
della nostra penisola.
Neofascismo
sono gli Amati, i Caizzi, gli Occorsio, i Colli, i Calamari e i porci di questa
fatta nei vari tribunali della penisola.
Ma
neofascismo sono anche i Piccoli o i Misasi, gli Agnelli o i Pirelli con la
lurida catena dei loro servi, dei loro cani da guardia, dentro e fuori i
cancelli delle fabbriche e delle scuole.
Oggi
una lotta è in corso tra le forze politiche che siedono in parlamento per chi
debba rappresentare la sintesi suprema di questa immensa miseria: la carica di
Presidente della Repubblica.
Ai
candidati sono richieste tre fondamentali qualità: la ferma volontà di
distruggere l’autonomia operaia;
l’intransigente
decisione a decimare le avanguardie politiche della sinistra rivoluzionaria;
l’ostinata
vocazione ad impedire la nascita di una nuova sinistra armata.
Al
futuro manovratore della macchina statale i suoi grandi elettori chiedono:
ordine, produttività, repressione.
Discutere
sulla rosa dei candidati è dunque un fatto secondario.
Non
un fatto inutile, ma secondario. Moro, Pantani o la riconferma del Presidente
della strage non sono che varianti tattiche dello stesso gioco.
Il
« fanfascismo » altro non può essere che l’interpretazione, forse più
estrosa, di un copione comunque obbligato.
Di
fronte a questa scadenza la nostra reale preoccupazione è dunque quella di
intravedere, tra le ombre e tra i giochi coperti, i fili dell’offensiva
tattica della borghesia contro il movimento di lotta e le sue avanguardie. Perché,
spezzare questa offensiva tattica, noi siamo convinti è il compito principale
delle forze rivoluzionarie in questo momento.
Ma
ciò presuppone chiarezza su almeno due questioni centrali.
La
prima è che non sono più i tempi dello « sviluppo », tempi in cui la
generalizzazione dei contenuti dell’autonomia proletaria nel movimento era di
per sé una forza produttiva rivoluzionaria.
La
seconda è che in questa fase di « crisi » il destino della lotta proletaria
è consegnato all’organizzazione e alla capacità di attacco in primo luogo
delle avanguardie rivoluzionarie.
Questo
per noi vuoi dire che per spezzare questa offensiva tattica della borghesia è
necessario innanzitutto accelerare quel processo già in atto, di trasformazione
delle avanguardie politiche che il movimento ha formato in questi ultimi anni,
in avanguardie politiche armate. II
problema che abbiamo dinnanzi è dunque in primo luogo una questione di
strategia. La sinistra rivoluzionaria deve dichiarare, messa alle strette dal
torchio del potere, da che parte combatte. I margini per l’opportunismo
pratico sono sempre più ristretti ed i sabotatori della rivoluzione sempre più
scoperti.
Dobbiamo
averlo chiaro: extraparlamentare oggi non vuoi dire più nulla. La discriminante
è sempre più nitida e passa tra chi intende costruire una sinistra armata e
chi intende prolungare l’infanzia impotente dei gruppi; tra chi vuoi
conservare la matrice sessantottesca e chi si batte per una rifondazione
dell’avanguardia di classe come avanguardia politica e armata; tra chi intende
separare il « politico » dal « militare » e chi intende elaborare una
strategia unica politico-militare e quindi costruire un’unica organizzazione
proletaria politica e armata. Le «
Brigate rosse » lanciano in questi giorni una campagna di lotta contro il
neofascismo; lasciano ad altri il terreno delle grandi campagne di opinione per
praticare quello dell’azione diretta. Le « Brigate rosse » intendono proseguire nel « processo
popolare contro tutti i fascisti » e realizzare altri momenti di giustizia
proletaria; intendono dare ulteriori contenuti alla parola d’ordine: niente
resterà impunito.
Le
« Brigate rosse » vogliono riversare sulle carogne del neofascismo e dello
stato che lo produce tutto l’odio proletario, concentrato e organizzato, che
anni di impotenza hanno accumulato. Ma soprattutto le Br puntano, facendo questa scelta
d’attacco, a rafforzare i primi nuclei di potere proletario armato che si sono
organizzati nei più importanti rioni popolari e nelle più grandi fabbriche
metropolitane.
Compagni,
LA
RIVOLUZIONE COMUNISTA È IL RISULTATO DI UNA LUNGA LOTTA AR-MATA CONTRO IL
POTERE ARMATO DEI PADRONI! Questo
è l’insegnamento fondamentale che ci viene dalla Comune di Parigi, dalla
rivoluzione bolscevica, dalla rivoluzione cubana e da quella cinese, dal Che e
dal Vietnam, dalle forze che oggi combattono nei paesi dell’Asia,
dell’Africa e dell’America Latina e dai gruppi rivoluzionari combattenti
delle grandi metropoli imperialiste. Questo è il contenuto fondamentale di liberazione che è
stato definitivamente abbandonato dalle organizzazioni storiche del movimento
operaio italiano.
Le
« Brigate rosse » alzano questa bandiera contro il neofascismo, contro lo
stato che lo produce, per la liberazione, per il comunismo!
POTERE
AL POPOLO!
L’attacco
incessante che da quattro anni la sinistra rivoluzionaria va conducendo
all’organizzazione capitalistica del lavoro e del potere, ha definitivamente
affossato ogni illusione di dare uno sbocco riformista alla crisi di regime in
atto nel paese.
È
un fatto che la borghesia ha infilato diritta la strada della repressione
violenta e sistematica delle lotte e che un generale spostamento a destra si è
realizzato all’interno del quadro istituzionale. Le vicende di questi ultimi
mesi lo dimostrano ampiamente e l’elezione di Leone coi voti palesi dei
fascisti o le elezioni politiche anticipate preparate da un monocolore ne che
raccatta ogni genere di rifiuti fino a Pella e Gonella, sono solo gli episodi più
appariscenti.
Alla
permanenza e all’intensificarsi della resistenza proletaria i padroni
contrappongono un progetto strategico di riorganizzazione reazionaria e
neofascista dello stato: il progetto di una grande destra nazionale.
Siamo
ancora alle prime battute, ma al di là delle contraddizioni tattiche con cui
questo progetto deve fare i conti se ne intravedono ormai le linee fondamentali.
Nelle
grandi fabbriche dove il rifiuto del lavoro cresce fino a diventare rifiuto del
potere le lotte vengono represse con ogni mezzo. Basta guardarsi in giro per
vedere come, sempre più, aumenta l’intransigenza dei padroni pubblici e
privati che, decisi a nulla concedere fanno intervenire con sempre maggior
frequenza la polizia nelle vertenze operaie.
E poi c’è l’organizzazione dei crumiri, dei nuovi sindacati
padronali e delle squadracce fasciste, queste ultime vere e proprie forze
dell’ordine civile che all’occorrenza si uniscono e danno manforte, spiando,
provocando, facendo del terrorismo, alle « forze dell’ordine » dello stato.
I grandi giornali padronali, la radio e la tv fanno il resto. Con il
pretesto della « lotta alla criminalità » non perdono occasione per
confondere le idee alla classe operaia presentando e contrabbandando la
crescente militarizzazione e fascistizzazione dello stato come « esigenza
dell’ordine pubblico » e cioè preparano il terreno per un « attacco finale
» in tempi stretti alle avanguardie rivoluzionarie presentate come « minoranze
criminali ».
Proprio
per questo le grandi metropoli del nord sono ormai quotidianamente sottoposte a
giganteschi rastrellamenti, a continui posti di blocco, vere e proprie
esercitazioni antiguerriglia, con impiego di ingenti forze di polizia e
carabinieri; (nell’ultimo a Milano sono stati impiegati 5.000 uomini!).
Siamo
cioè di fronte ad uno stato « militarizzato » che non riuscendo più ad
organizzare per via pacifica il consenso, si prepara ad imperlo con le armi.
La
borghesia utilizza per questo suo progetto tutte le forze politiche disponibili
sul mercato. Nessuno gli fa schifo, ne La Malfa, ne Ferri, ne Andreotti, ne
Almirante. Ma la forza trainante in questo momento è il msi.
Sarebbe
dunque un errore ricondurre la questione del neofascismo entro schemi
preresistenziali. Oggi siamo di fronte ad un tentativo « nuovo » di costruire
intorno alle esigenze dello stato imperialista una « base sociale » stabile.
Il
neofascismo in altre parole - almeno in questa fase - non mira tanto ad una
liquidazione istituzionale dello « stato democratico », quanto alla
repressione ferocissima del movimento delle lotte; non si manifesta come
appariscente modifica istituzionale, ma come pratica quotidiana di governo.
In
questa prospettiva il disegno di una destra nazionale raccolta intorno ad un
progetto d’ordine, costruito su misura delle attuali e future necessità
produttive dei padroni, ha certamente un respiro più lungo di quel «
centro-destra » di mediazione messo su per scopi elettorali dai leaders
scudocrociati.
Non
è un caso che molti personaggi democristiani, guardando lontano, siano tra i più
solerti sostenitori della destra nazionale, tra i più attivi promotori della
maggioranza silenziosa. Del resto
c’è spazio per tutti in questa prospettiva: sia per chi vuoi muoversi sul
binario della « legalità »; sia per chi al contrario preferisce la via delle
bombe, del terrorismo e dello squadrismo. Ed è proprio nella combinazione del terreno politico di
scontro con quello armato, che va vista la forza attuale del neofascismo:
maggioranza silenziosa e terrorismo non sono realtà contraddittorie, come non
lo sono i corpi armati dello stato e le squadracce nere di Almirante. A breve
termine il blocco neofascista insegue alcuni obiettivi.
Primo è quello di organizzare, utilizzando i vari centri anticomunisti
quegli strati piccolo e medio-borghesi esasperati dalla « crisi » o minacciati
dallo spettro delle lotte operaie come massa di pressione politica anticomunista
nel gioco elettorale.
Secondo
obiettivo è quello di concretizzare attraverso la Cisnal e gli altri sindacati
gialli padronali, una spaccatura all’interno della classe operaia, puntando
sui suoi strati ideologicamente e politicamente più deboli, in modo da arrivare
alle vicine scadenze contrattuali con la classe operaia divisa ed una « destra
» organizzata nelle fabbriche.
Il
neosquadrismo è al servizio di questa prospettiva. Gli attacchi squadristici
servono infatti, facendo leva sulla paura, a immobilizzare la grande massa
operaia e a « staccarla » dagli « estremisti », cioè dai militanti più
combattivi e dalle avanguardie rivoluzionarie che non intendono farsi
calpestare.
Terzo
obiettivo è quello di creare nei rioni popolari punti di riferimento
organizzati per svolgere un intervento « politico » demagogico e qualunquista
di disturbo in vista delle elezioni.Infine, ultimo obiettivo è la costruzione -
a lato dello stato - di una forza militare clandestina in grado di sviluppare,
secondo le necessità politiche generali, sia una attività terroristica vera e
propria (bombe di piazza Fontana), sia una attività di provocazione - in
combutta con la polizia — contro le forze che si battono per affermare nel
movimento di resistenza popolare la necessità del passaggio alla lotta armata
(assassinio del compagno Feltrinelli).
Tutti
questi obiettivi hanno un elemento comune: la volontà di annientamento della
sinistra rivoluzionaria e di neutralizzazione della sinistra istituzionale.
Opporsi
a questo progetto non basta.
Ciò
che noi sosteniamo è che questa opposizione deve avere un respiro strategico,
deve cioè essere una opposizione armata. La
guerra contro il neofascismo è un momento della guerra rivoluzionaria di
classe, è un passaggio obbligato del movimento di resistenza popolare nella sua
lunga marcia per edificare un potere proletario e comunista.
Come
tutte le guerre essa va combattuta oltre che sul piano politico e ideologico
anche e soprattutto sul piano militare. Essa
è cioè un fronte della lotta armata.
Detto
questo si capisce perché, nostro obiettivo in questa lotta non è quello del
pci o di altre forze democratiche « sinceramente antifasciste », di denunciare
le violenze degli squadristi facendo inchieste e dossier per chiedere allo stato
di intervenire a difesa della legalità repubblicana.
I
proletari non hanno stato: lo subiscono!
Lo
stato per chi lavora non è altro che l’organizzazione della violenza
quotidiana. Per questo i proletari non intendono più chiedere autorizzazioni a
nessuno per esercitare in modo diretto la loro infinita potenza; per
amministrare questa potenza secondo i criteri della giustizia che nasce in mezzo
al popolo.
La
guerra al neofascismo e allo stato imperialista è una conseguenza inevitabile
della militarizzazione del regime che caratterizza questa fase dello scontro di
classe nel nostro paese.
Essa
non avrà tregua ne potrà cessare fino a che i fascisti non saranno annientati
ed il vecchio apparato statale distrutto. C’è chi dice che con le elezioni si
possono cambiare le cose, che la « rivoluzione » si può fare anche con la
scheda elettorale.
Noi
non ci crediamo. L’esperienza già fatta dopo la guerra di liberazione
partigiana non può essere nascosta. La conosciamo tutti: abbiamo consegnato il
fucile e da quel momento ci hanno sparato addosso!
Quanti morti nelle piazze dal ‘45? Quale il nostro potere oggi?
L’esperienza
della lotta di classe nell’epoca dell’imperialismo ci insegna che la classe
operaia e le masse lavoratrici non possono sconfiggere la borghesia armata senza
la potenza dei fucili.
Questa
è una legge marxista, non una opinione. Non siamo astensionisti. Non siamo per
la scheda bianca. Ma diciamo a tutti i compagni, con chiarezza, che il voto oggi
divide inutilmente la sinistra rivoluzionaria; che il voto non paga la nostra
richiesta di potere; che non è col voto che si combatte la controrivoluzione
che striscia in tutto il paese.
Unire
la sinistra rivoluzionaria nella lotta armata contro il neofascismo e contro lo
stato che lo produce, è il compito attuale dei militanti comunisti.
Liberare
le grandi fabbriche ed i rioni popolari dalle carogne fasciste; strappargli di
dosso con rapide azioni partigiane le pelli di agnello di cui si ammantano in
questi tempi di elezioni; mettere a nudo con fulminee azioni guerrigliere le
complicità nascoste, i legami sotterranei, le trame reazionarie che uniscono i
padroni, lo stato e l’esercito nero di Almirante sono esigenze già mature
nell’animo delle grandi masse popolari.
Ma
le forze rivoluzionarie devono, adesso, osare. Osare combattere. Combattere
armati. Perché nessun nemico è mai stato abbattuto con la carta, con la penna
o con la voce; e a nessun padrone è mai stato tolto il suo potere con il voto!
BRIGATE
ROSSE, "ALCUNE QUESTIONI PER LA DISCUSSIONE SULL'ORGANIZZAZIONE",
SENZA LUOGO, ESTATE 1974.
1.
L'Organizzazione politico-militare.
"La
lotta politica tra le classi non può più essere sviluppata senza una precisa
capacità militare". Da questa convinzione è nata nel novembre del 1970 la
nostra scelta di , procedere alla costruzione di una avanguardia proletaria
armata. I criteri che abbiamo posto a fondamento di questo passaggio sono noti
ma li ricapitoliamo:
Punto
di origine del nuovo capitolo rivoluzionario sono le avanguardie politiche
della classe operaia delle grandi fabbriche dei poli industriali e
metropolitani;
È
dai bisogni politici di questo strato rivoluzionario che siamo partiti per
la costruzione dell'avanguardia rivoluzionaria armata;
Per
avanguardia armata non abbiamo inteso il braccio armato di un movimento di
massa disarmato ma il suo punto di unificazione più alto, la sua
prospettiva di potere. L'avanguardia armata cioè è sin dal suo nascere il
potere rivoluzionario delle classi sfruttate che lottano contro il sistema
per la formazione di una società e di uno Stato comunista;
L'avanguardia
proletaria armata pur nascendo nella più rigorosa clandestinità non
rinuncia a svolgersi per linee interne alle forze dell'area dell'autonomia
operaia.
2.
La clandestinità.
La
questione della clandestinità si è posta nei suoi termini reali solo dopo il 2
Maggio '72. Fino ad allora, impigliati come eravamo in una situazione di
semilegalità, essa era vista più nei suoi aspetti tattici e difensivi che
nella sua portata strategica. Inoltre il pregiudizio che mette in opposizione
'clandestinità' e 'linea di massa' rallentava la presa di coscienza. Fu
l'offensiva scatenata dal potere contro l'organizzazione il 2 maggio che cancellò
ogni dubbio sul fatto che la clandestinità è una condizione indispensabile per
la sopravvivenza di un'organizzazione politico-militare offensiva che operi
all'interno delle metropoli imperialiste.
Il 2 maggio cominciammo così a costruire l'avanguardia proletaria armata a partire dalla più ermetica clandestinità. Come abbiamo detto nel primo punto però la condizione di clandestinità non impedisce che l'organizzazione si svolga per linee interne alle forze dell'area dell'autonomia operaia. Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante pur appartenendo all'organizzazione opera 'nel movimento' ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità. Questo secondo tipo di militanza clandestina da un punto di vista politico è alla base della costruzione delle articolazioni del potere rivoluzionario; da un punto di vista militare è a fondamento dello sviluppo delle milizie operaie e popolari. Operare 'a partire dalla clandestinità' consente un vantaggio tattico decisivo sul nemico di classe che vive invece esposto nei suoi uomini e nelle sue installazioni. Questo vantaggio viene completamente annullato quando la clandestinità è intesa in un senso puramente difensivo. La concezione difensiva della clandestinità sottintende o nasconde l'illusione che lo scontro tra borghesia e proletariato in ultima analisi si giochi sul terreno politico piuttosto che su quello della guerra e cioè che gli aspetti militari siano in fondo solo aspetti tattici e di supporto. Questa concezione errata è ancora presente all'interno di alcune 'assemblee autonome' come quella dell'Alfa Romeo ad es. quando dice: "riteniamo che in questo momento storico la direzione politica debba essere completamente responsabile di fronte alle masse, pur sviluppando funzionali modelli di clandestinità necessari per la sopravvivenza della organizzazione rivoluzionaria". Ma è chiaro a tutti che si confonde qui, quando si dice: "la direzione politica deve essere responsabile di fronte alle masse", l'essere una 'organizzazione legale' con l'essere una 'organizzazione riconosciuta'. Si fa passare cioè un problema politico (essere direzione riconosciuta) per un problema organizzativo (essere una organizzazione legale). E si finisce per non capire che si può essere 'direzione riconosciuta' anche senza essere una 'organizzazione legale'.
3.
L 'impostazione offensiva.
Il
problema della guerra, dell'attualità della lotta armata intesa come risvolto
proletario della crisi di regime, non è un problema di difesa degli spazi
politici minacciati, di 'difesa della democrazia'. Al contrario è un problema
di attacco, di lotta armata per il comunismo. La nostra è dunque
un'organizzazione che in questa prospettiva si costruisce per una guerra di
movimento. Essa è lo strumento dell'iniziativa tesa a costringere la borghesia
sul terreno della difesa di un numero di obiettivi sempre più elevato, sempre
più esteso nello spazio, sempre più vario nella qualità. Proprio questa
impostazione richiede il rispetto di due principi che sono anche due vantaggi
pratici: l'alta mobilità e l'agilità delle strutture. L'alta mobilità
dobbiamo intenderla come capacità di mutare continuamente i punti ed i fronti
dell'attacco in modo da rompere in continuazione l'accerchiamento, non fornire
bersagli fissi e obbligare il nemico di classe ad una perenne rincorsa. L'agilità
delle strutture vuoI dire invece che in questa fase della guerra le colonne non
devono subire il condizionamento di strutture organizzative pesanti. Le
installazioni pesanti, nella misura in cui sono indispensabili devono perciò
essere governate direttamente dal fronte logistico centrale.
4.
Vivere tra le masse.
Il
nostro punto di vista è che la lotta armata per le caratteristiche storiche e
sociali del nostro paese deve essere condotta da un'organizzazione che sia
diretta espressione dell'avanguardia del movimento di classe operaia. In questa
fase dobbiamo perciò sviluppare un'azione di guerriglia legata ai bisogni
politici di questa avanguardia. Radicare la lotta armata nel movimento vuoI dire
in primo luogo costringere l'avanguardia del movimento a praticare direttamente
la lotta armata. Sempre più la nostra iniziativa militare dovrà essere
condotta insieme al popolo. Una porzione crescente di movimento dovrà cioè
essere coinvolta nella nostra iniziativa militare. Particolare attenzione
dobbiamo fare all'impostazione del rapporto tra organizzazione e popolo, tra
fronti e popolo. Ora se per il fronte di massa il problema del rapporto tra
fronte e popolo si è venuto chiarendo via via che procedeva l'esperienza delle
brigate, per gli altri due fronti si tratta di fare un grande sforzo creativo
per evitare che affermino tendenze ripetitive non necessariamente giustificate
dati i differenti compiti e i diversi ambiti. Anche nel fronte di massa però si
deve fare uno sforzo creativo superiore per far assumere alle Br una effettiva
dimensione di potere rivoluzionario locale.
5.
Le colonne.
La
nostra scelta strategica di sviluppo dell'organizzazione per poli implica da un
punto di vista organizzativo un analogo processo di crescita per colonne. La
colonna è l'unità organizzativa minima che riflette, sintetizza e media al suo
interno tanto la complessità del polo e delle sue tensioni che la complessità
dell'organizzazione, la sua impostazione strategica e la sua linea politica. Le
colonne sono unità politico-militari complessive. Esse cioè sono in grado di
operare su tutti i fronti all'interno di un polo di classe significativo. Da un
punto di vista politico esse si centralizzano attraverso la direzione strategica
e i fronti. Da un punto di vista organizzativo esse sono indipendenti, e cioè
contano su di un proprio apparato. La formazione di nuove colonne deve avvenire
per partenogenesi e non per aggregazione di nuovi elementi.
6.
La compartimentazione.
La
compartimentazione è una legge generale della guerra rivoluzionaria nella
metropoli. Ed è uno dei principi fondamentali della sicurezza della nostra
organizzazione. La nostra esperienza ha dimostrato che chi trascura questa legge
o non la applica con assoluto rigore è destinato inevitabilmente alla
distruzione. Marighella: "dobbiamo evitare che ognuno conosca gli altri e che tutti conoscano
tutto. ..Ognuno deve sapere solo ciò che riguarda il suo lavoro". Che:
"nessuno, assolutamente nessuno deve
sapere in condizioni di clandestinità altro che lo strettamente indispensabile
e non si deve mai parlare davanti a nessuno".
Nella
nostra organizzazione è necessario realizzare una compartimentazione verticale
(tra le varie istanze a tutti i livelli) e orizzontale (tra le colonne, tra i
fronti, tra le brigate, tra i compagni di uno stesso organismo). È necessario
ricordare però che anche la struttura meglio compartimentata non reggerebbe a
lungo senza una reale discrezione dei militanti. La discrezione in altri termini
è una regola di condotta fondamentale per un guerrigliero urbano.
Compartimentazione non vuoI dire 'compartimentazione di un dibattito politico e
di tutte le informazioni'. È il comitato esecutivo (CE) e sono i vari fronti
che per evitare questo pericolo devono garantire ed estendere la pratica delle
relazioni informative e politiche e dei bilanci di esperienza che consentano pur
in una situazione di compartimentazione organizzativa assoluta il più ampio
dibattito politico.
7.
I Fronti
I
fronti sono una acquisizione recente della nostra esperienza organizzativa. Essi
sono stati costruiti per rispondere al bisogno di elaborazione di organizzazioni
di lotta in settori politici specifici (es. grandi fabbriche,
controrivoluzione). Non sono strutture di servizio. I fronti tagliano e
percorrono l'organizzazione verticalmente. Essi pertanto sono i canali più
idonei ad assolvere al compito della centralizzazione del dibattito politico. I
fronti da potenziare in questa fase sono tre: il fronte delle grandi fabbriche;
il fronte di lotta alla controrivoluzione; ed il fronte logistico.
Il
fronte di lotta alla controrivoluzione deve porsi come obiettivo la conquista
degli avamposti strategici per la sua esistenza, ed inoltre: il perfezionamento
dell'apparato di informazione, lo sviluppo dell'attacco allo Stato già iniziato
con la campagna Sossi ed una linea di condotta che porti ad affermare l'egemonia
del nostro discorso strategico sulle forze dell'antifascismo militante. Il
fronte logistico in primo luogo deve esistere. Poi i suoi compiti sono definiti
dalla necessità di perfezionare e sviluppare le strutture logistiche (basi,
strumenti, mezzi, documenti); militari (armamento ed istruzione militare);
industriali (laboratori) e di assistenza (medica e legale e di latitanza).
8.
Forze regolari e forze irregolari
La
nostra organizzazione si appoggia su due tipi di forze. Le forze regolari e le
forze irregolari. Entrambe sono essenziali per la nostra esistenza, ma giocano
un ruolo diverso. Le forze regolari sono composte dai quadri più consapevoli e
disponibili che la lotta armata ha prodotto. Esse sono completamente clandestine
ed i militanti che le compongono hanno tagliato ogni genere di legami con la
legalità. La nostra esperienza dimostra che senza forze regolari è impossibile
creare ed edificare basi rivoluzionarie stabili come le colonne e i fronti. Le
forze regolari hanno dunque un carattere strategico e i loro compiti
fondamentali sono definiti dalle esigenze di sopravvivenza e sviluppo dei fronti
e delle colonne. Anche le forze irregolari -brigate o cellule che siano -hanno
un carattere strategico, ma i militanti di queste forze vivono nella legalità.
La loro è una clandestinità d'organizzazione ma non personale. È questa
collocazione che impone dei limiti alla loro iniziativa e sono questi limiti
'oggettivi' che definiscono le differenze con le forze regolari. Gli operai
partigiani delle forze irregolari svolgono però una funzione tanto più
decisiva quanto più lo scontro civile è sviluppato. Esse hanno due compiti
fondamentali: conquistare all'organizzazione il più ampio sostegno popolare;
costruire i centri e le articolazioni del potere rivoluzionario. Da un punto di
vista politico, non vi è differenza tra i militanti delle forze regolari e
delle forze irregolari. Entrambi concorrono con parità di diritti e di doveri a
far rivivere la linea politica generale dell'organizzazione. Per questo anche i
militanti delle forze irregolari possono far parte della direzione strategica
dell'organizzazione, anche se ovviamente nessuno di loro potrà far parte delle
direzioni dei fronti, delle colonne o del comitato esecutivo.
9.
La direzione strategica
All'origine
della nostra storia c'è un nucleo di compagni che operando scelte
rivoluzionarie si è conquistato nel combattimento un ruolo indiscutibile di
avanguardia. Questo nucleo storico ha portato sin qui l'organizzazione
sottoponendo nella misura del possibile ogni scelta fondamentale, le vittorie e
le sconfitte, alla discussione dei compagni delle forze regolari e delle forze
irregolari. Oggi con la crescita dell'organizzazione e della sua influenza,
della sua complessità e delle sue responsabilità politiche e militari, questo
nucleo storico è di fatto insufficiente. Si impone cioè una ridefinizione e un
ampliamento del quadro dirigente complessivo dell'organizzazione. Si propone
pertanto alla discussione dei compagni la formazione di un consiglio
rivoluzionario che raccolga e rappresenti tutte le tensioni e le energie
rivoluzionarie maturate nei fronti, nelle colonne e nelle forze irregolari.
Questo consiglio dovrà essere la massima autorità delle Br. A questo consiglio
dovrà essere riconosciuta la funzione indiscutibile di direzione strategica
dell'organizzazione. Sarà esso a formulare gli orientamenti generali e di linea
politica dell'organizzazione. Dovranno essergli riconosciuti inoltre da parte di
tutti:
il
diritto di emanare ed applicare leggi e regolamenti rivoluzionari;
il
diritto di giudicare ed applicare correzioni disciplinari nei confronti di
quei membri dell'organizzazione che abbiano tenuto un comportamento
scorretto o controrivoluzionario;
il
diritto di approvazione e revisione dei bilanci;
il
diritto e il potere di modificare le strutture dell'organizzazione.
Il
consiglio potrà essere riunito normalmente una o due volte ogni anno e
straordinariamente quando ciò sia richiesto da almeno una colonna, da un fronte
o dal CE. Esso nominerà per il governo quotidiano dell'organizzazione un CE.
10.
Il comitato esecutivo.
Al
CE spetta il compito di dirigere e coordinare l'attività del fronte e delle
colonne oltre che i rapporti dell'organizzazione tra un consiglio e l'altro. Al
CE possono essere collegati anche nuclei o individui che svolgono la loro
militanza individualmente. Esso risponde del suo operato direttamente ed
esclusivamente al consiglio e da questo viene nominato e può essere revocato.
Nel
CE devono essere rappresentati i tre fronti in modo da consentire una efficace
centralizzazione delle informazioni e una rapida esecuzione delle direttive.
Tutte le azioni militari di carattere generale che investono nel suo complesso
l'organizzazione dovranno essere approvate dal CE. All'occorrenza per decisioni
particolarmente importanti l'Esecutivo può ricorrere alla consultazione dei
rappresentanti delle colonne. Al CE spetta la responsabilità
dell'amministrazione dei beni e del patrimonio dell'organizzazione.
Avviso.
Queste
note non sono il punto di arrivo della discussione sulla organizzazione bensì
un punto di partenza. Ovviamente esse sono modificabili e integrabili. La
discussione nei fronti e nelle colonne e con le forze irregolari deve portare
oltre che ad una redazione finale anche alla identificazione della direzione
strategica..
NUCLEI ARMATI
PROLETARI, AUTONOMIA OPERAIA, NUCLEO ESTERNO MOVIMENTO DEI DETENUTI,
"VOLANTINO", SENZA LUOGO, SETTEMBRE 1974.
Questo
volantino vuole essere la spiegazione politica maggiormente articolata rispetto
al testo megafonato della nostra azione di propaganda effettuata
contemporaneamente nelle carceri di Milano, Firenze, Roma e Napoli con lo scopo
di rilanciare le lotte dei proletari detenuti sugli obbiettivi maturati a
partire dal '69 ad oggi, e stroncate con le armi nel momento in cui, rispetto
alle scelte opportuniste e deviazioniste della sinistra ufficiale, avevano
espresso nei loro contenuti e urto di massa un reale irreversibile significato
di scontro di classe.
La
nostra lotta in questa fase di attacco criminale da parte delle classi
privilegiate alle condizioni di vita dei lavoratori e delle classi socialmente
più deboli e precarie, acquista un significato di unità di lotta di tutto il
proletariato, promuovendo la ricerca di un rapporto di forza vincente
all'interno di una strategia che veda la classe operaia nell'estensione del
fronte delle sue alleanze alla guida di tutti gli strati sfruttati e oppressi in
lotta per un'alternativa comunista. Noi sappiamo che a queste nostre prime
azioni di avanguardia, lo Stato borghese e fascista cercherà di screditarci
presso il proletariato denunciandoci come provocatori, ribellisti, delinquenti e
chi sa cos'altro, ma a costoro noi risponderemo con il solo argomento vero,
reale, marxista e non mistificatorio: cioè con la ripresa della lotta di massa
su obbiettivi progressisti, rivoluzionari.
I
partiti e le organizzazioni della sinistra legale con la tanto declamata parola
d'ordine "Fuorilegge il MSI" ancora una volta hanno tradito la
coscienza e gli interessi del proletariato deviandone lo scontro di classe;
perchè questa parola d'ordine, di delega al governo, cioè alle strutture
corporative fasciste della giustizia borghese, ha permesso alla Dc, dopo la
clamorosa e reale sconfitta subita con il referendum, di fortificare di fatto il
suo potere sulle strutture interne dello Stato, e di ricrearsi quella credibilità
democratica, riconoscendo nella parola d'ordine di "Fuorilegge il MSI"
un suggerimento amico -tanto da sdebitarsi verso le forze della sinistra
rinunciando in allegria alla vecchia linea degli opposti estremismi ormai
inutile e infantile per il suo potere riconquistato -che le permetteva, come in
realtà è avvenuto, di far approvare dietro il paravento di un disegno golpista
(invenzione originale della sinistra che ha fatto della lotta di classe una
politica di classe, e quindi non come necessario scontro armato a cui bisogna
contrapporre un proletariato illegale nella sua intellettualità, ma come prassi
scorretta (criminale!) e quindi vincente rispetto a un proletariato da loro
stessi tenuto nell'ignoranza tecnica delle cose illegali, represso, educato alla
legalità più ottusa per fini opportunistici di partito o di organizzazione
prestrutturati) inesistente nella sua attualità e attuabilità come colpo di
stato fascista, un numero indefinito di leggi antiproletarie, di prevaricazioni
poliziesche e stati d'assedio (questi sì reali) applicati dalla DC con la
stupida acquiescienza dei partiti di sinistra, di cancellare dalla storia
rivoluzionaria il movimento di lotta dei detenuti e farlo regredire dalla sua
volontà di darsi strutture e strumenti, acquisita nel corso e con la vittoria
del referendum la coscienza di un proletariato vittorioso sul piano politico, su
posizioni di scoraggiamento e di impotenza il movimento di classe in generale.
Il
tutto per ciò che riguarda il PCI all'insegna di un compromesso storico
storicamente delinquenziale per le masse proletarie occupate e precarie. La
nostra lotta nel perseguire gli obbiettivi delle piattaforme maturate nei
carceri negli ultimi cinque anni tende necessariamente e dialetticamente
all'unità del proletariato contro lo Stato borghese dell'interclassismo: così
è la lotta contro i codici fascisti che sono lo strumento basilare del
condizionamento oppressivo del potere, quale espressione dell'unità politica di
tutto il proletariato contro le strutture del potere; così è la
democratizzazione valida per le masse proletarie detenute quale sbocco evolutivo
delle nostre lotte e la lotta di massa quale passaggio necessario da condizione
parassitaria e strumentalizzata a stato cosciente dei propri diritti e compiti
di classe rispetto al processo rivoluzionario generale; così è la lotta per la
liberalizzazione della vita interna dei carceri, cioè per l'attuazione di
riforme radicali per sistemi non detentivi, per la possibilità di esercitare
gli inalienabili diritti umani e politici espressi nelle piattaforme di questi
ultimi anni che sono:
l)
Abolizione dei manicomi giudiziari, veri lager nazisti e strumento di terrorismo
e di ricatto per i proletari detenuti;
2)
Abolizione dei riformatori minorili, luoghi di violenza originaria sul giovane
proletario, atti e programmati per assicurare al potere borghese la continuità
della violenza di cui ha disperatamente bisogno per giustificare gli apparati
giudiziari e polizieschi dello Stato;
3)
Amnistia generale e incondizionata, salvo che per i reati di mafia e per la
sbirraglia nera a parziale rimedio del danno subito dalle leggi fasciste;
4)
Inchiesta di una commissione non parlamentare, composta da compagni, avanguardie
di lotta nelle fabbriche e nei quartieri, sulle torture, sugli abusi e sugli
omicidi che sono stati commessi e che hanno continuità nelle carceri;
5)
La verità sul compagno fucilato a Firenze e sulla strage ordinata dal potere ai
suoi servi e mercenari di Alessandria;
6)
Riforma del codice penale e di procedura penale che contempli: a) Pene non
detentive e che ne riduca i minimi e i massimi attualmente previsti (salvo che
per mafia e fascisti). b) Che riduca a un quarto i termini dell'attuale
carcerazione preventiva. c) Per una difesa gratuita e reale per tutti e per il
contraddittorio processuale; per il diritto a fare politica -cioè a discutere
sulle proprie cose -per lo studio libero, il voto, la giusta retribuzione del
lavoro, il rapporto sessuale, per l'autogoverno.
Alla
furbizia della DC di screditare i grandi quartieri giudiziari (carceri) in lotta
per il comunismo relegandovi, occasionalmente, i suoi complici politicamente
compromessi e i mercenari neri legati a questi, noi rispondiamo con la sola
parola d'ordine di classe valida in tutte le situazioni di sfruttamento e
precarietà sociale: via i fascisti dai grandi quartieri giudiziari in lotta per
il comunismo; contro le carogne nere giustizia immediata; contro il fascismo di
Stato, violenza organizzata e armata del proletariato. Questa è la volontà che
arma tutti i proletari detenuti nei carceri del mondo capitalista e imperialista
dall'America alla Francia, da Rebibbia a Firenze e che va sviluppando una sola
lotta condotta da un unico proletariato contro gli Stati del privilegio
borghese, per il comunismo, per un'alternativa rivoluzionaria in Italia e nel
mondo.
Viva
la lotta dei proletari detenuti di tutto il mondo
NUCLEI
ARMATI PROLETARI, AUTONOMIA PROLETARIA, NUCLEO ESTERNO MOVIMENTO DEI DETENUTI,
"VOLANTINO", SENZA LUOGO, OTTOBRE 1974.
Compagni detenuti il volantino qui allegato è la trascrizione del testo megafonato la notte dello ottobre 1974 davanti ai carceri di Milano, Roma e Napoli e seguita da un'esplosione che aveva lo scopo di distruggere le apparecchiature trasmittenti. L'isterica reazione della stampa borghese e revisionista ha prodotto un unico tentativo di falsare la realtà ed i contenuti della nostra azione ed un ridicolo tentativo di collocarla politicamente a destra. Brucia al culo dei padroni e del potere repressivo che ex-detenuti si siano organizzati all'esterno dei carceri con il preciso scopo di sostenere e proseguire, all'esterno, la nostra lotta comune contro il fascismo di Stato. Ora compagni sta a voi dare la giusta risposta di lotta per il conseguimento degli obbiettivi espressi nelle piattaforme, lottando.
Il
testo del comunicato trasmesso a Rebibbia, Poggioreale e San Vittore:
"Attenzione, state lontani, questa apparecchiatura e questo luogo sono
minati ed esploderanno al minimo tentativo di interrompere questo messaggio.
Compagni e compagne detenuti nel carcere, questo messaggio è rivolto a tutti
voi dai Nuclei Armati Proletari che si sono costituiti in clandestinità
all'esterno dei carceri per continuare la lotta dei detenuti contro i lager
dello Stato borghese e la sua giustizia; il nostro è un appello alla ripresa
delle lotte per il conseguimento degli obbiettivi espressi nelle piattaforme dal
'69 in poi. Una ripresa delle lotte nei carceri che ci vede uniti, ora come dal
'69 in poi, al proletariato; contro il capitalismo violento dei padroni, contro
lo Stato dei padroni ed il suo governo.
La
risposta dello Stato borghese a cinque anni di lotta dura è stata una crescente
repressione ed una serie di provvedimenti fascisti tra i quali il raddoppio
della carcerazione preventiva, ed il definitivo affossamento del progetto di
riforme penali decantato dalla pubblicità governativa. Raddoppio dei termini
passato con il concorso attivo dei revisionisti sulla pelle del nostro strato
proletario. Ora è giunto il momento di dimostrare che non siamo disposti a
permettere che vi sia il silenzio: di dimostrare che la nostra volontà e
capacità di lotta non è spenta, nonostante tutto, e che ha prodotto
all'esterno dei carceri dei Nuclei Armati Proletari per affiancare e sostenere
la lotta dei detenuti, per rispondere agli omicidi ed alle stragi ed alle
repressioni di Stato. Compagni proletari detenuti, per i nostri diritti, contro
la violenza di stato nelle carceri, nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole
e nelle caserme, contro il rafforzamento della repressione, rivolta generale
nelle carceri. Rifiutiamo il modo di vivere impostoci dalla classe borghese con
lo sfruttamento, la miseria e l'oppressione; rifiutiamo di continuare ad essere
l'alibi delle strutture poliziesche ed antiproletarie dello Stato. Compagni, la
repressione su di noi affianca e perfeziona il fascismo delle leggi di Stato,
conferma che il potere calpesta il diritto del proletariato più debole
preparandosi a calpestare la libertà di tutto il proletariato. Noi non abbiamo
scelta: o ribellarsi e lottare o morire lentamente nei carceri, nei ghetti, nei
manicomi dove ci costringe la società borghese e nei modi che la sua violenza
ci impone.
Contro
lo Stato borghese, per il suo abbattimento, per la nostra autoliberazione di
classe, per il nostro contributo al processo rivoluzionario del proletariato,
per il comunismo: rivolta generale nei carceri e lotta armata dei nuclei
all'esterno. Rivolta e lotta armata come rifiuto di accettare passivamente la
repressione che si aggiunge al genocidio sociale permanente del nostro strato
proletario. Rivolta e lotta armata come risposta contro l'esistenza dei carceri;
ai decenni di torture, alle centinaia di omicidi consumati senza timore di
punizione dai boia del sistema nei carceri, nei manicomi giudiziari, nei
riformatori minorili. I Nuclei Armati Proletari contano alloro interno compagni
ex-detenuti che hanno sofferto il carcere lottando e maturando politicamente, 10
hanno sofferto come voi, compagni, sui letti di contenzione, nelle celle di
isolamento, subendo le sevizie degli aguzzini e le torture dei manicomi
giudiziari e che non hanno dimenticato..
Compagni
detenuti, i crimini degli aguzzini di Stato non rimarranno più impuniti; i boia
fascisti esecutori della repressione nei carceri e nei manicomi, saranno da noi
processati e condannati secondo la giustizia proletaria. Contro tutte le
violenze subite dai proletari detenuti dobbiamo rispondere con la sola parola
d'ordine di classe valida in tutte le situazioni di sfruttamento e di
oppressione del proletariato: la ripresa della nostra lotta di massa. Via i
fascisti dai carceri in lotta per il comunismo, per loro le fogne possono
bastare. Contro il fascismo di Stato violenza organizzata del proletariato
detenuto. Compagni non dimenticate che i fascisti sono quegli stessi porci che
chiedono con insistenza il ripristino della pena di morte, un aumento generale
delle pene del loro infame Codice penale, una maggiore durezza di trattamento
nei carceri e sempre i primi a proporre le più reazionarie proposte
liberticide. Compagni non dimenticatelo per quelli che avete lì sottomano,
isolate e picchiate i fascisti e ricordate che sono nostri boia al pari degli
aguzzini, della polizia della custodia e dei padroni.
Compagni
detenuti, in questa fase di lotta tutto il proletariato contrapposto al potere
borghese che tenta di realizzare il suo più alto tentativo reazionario ed
antiproletario, all'interno di una crisi politica ed economica dell'imperialismo
mondiale, portando un attacco a fondo alle condizioni di vita e alle libertà
del proletariato nelle fabbriche e nei quartieri, aumentando di conseguenza il
numero di proletari detenuti. In questo quadro la nostra lotta assume il
significato di unità con la lotta di tutto il proletariato proponendo la
ricerca di un rapporto di forza vincente e di una strategia che veda la classe
operaia alla guida dello scontro di classe di tutti gli strati del proletariato
in lotta.
La
nostra piattaforma deve perseguire questi obbiettivi:
1)
Lotta contro i codici fascisti come momento di unità politica del proletariato
contro uno strumento basilare del condizionamento oppressivo del potere.
2)
Lotta per la democratizzazione interna dei carceri e per la relativa attuazione
di riforme radicali che contemplino sistemi non detentivi, effettiva e reale
possibilità di esercitare gli inalienabili diritti umani e politici espressi
nelle piattaforme di questi ultimi anni.
Autogoverno,
democraticizzazione come sbocco evolutivo delle nostre lotte per le masse
detenute che soltanto attraverso una prassi di lotta possono trasformarsi da
masse amorfe e strumentalizzate a masse coscienti dei propri diritti e dei
compiti di classe rispetto al processo rivoluzionario generale.
I
nostri obbiettivi immediati sono:
a)
Abolizione dei manicomi giudiziari, veri lager nazisti e strumento di ricatto e
di terrorismo per i proletari detenuti.
b)
Abolizione dei riformatori minorili, luoghi di violenza originaria sul giovane
proletario, atti e programmati per assicurare al potere borghese la continuità
di quella delinquenza di cui ha disperatamente bisogno per giustificare gli
apparati polizieschi e giudiziari dello Stato. c) Amnistia generale e
incondizionata, salvo che per i reati di mafia e per la sbirraglia nera, a
parziale rimedio del danno subito dalle leggi fasciste.
d)
Abolizione immediata della recidiva.
e)
Inchiesta da parte di una commissione non parlamentare, ma composta da compagni,
avanguardie di lotta delle fabbriche e dei quartieri sulle torture, sugli abusi
e sugli omicidi che sono stati commessi e continuano a commettersi attualmente
nei carceri.
t)
La verità sul compagno fucilato a Firenze e sulla strage ordinata dal potere ai
suoi servi ad Alessandria.
Compagni,
al conseguimento di questi obbiettivi i Nuclei Armati Proletari concorreranno
all'esterno con le azioni che di volta in volta si renderanno necessarie. Questa
azione di propaganda alle lotte è stata condotta dal nucleo esterno del
movimento dei detenuti.
Viva
il comunismo, viva la lotta dei detenuti